Regia dinamica e con piglio

Al Teatro Goldoni di Firenze La Serva Padrona, il capolavoro di Pergolesi, conquista il pubblico

I personaggi, Vespina e Uberto, hanno dato vita a una recitazione concitata e spiritosa, calandosi perfettamente nei rispettivi ruoli...

di Domenico Del Nero

Al Teatro Goldoni di Firenze La Serva Padrona, il capolavoro di Pergolesi, conquista il pubblico

Una scena de La Serva padrona

Una serva davvero …. intraprendente, padrona ma anche furbacchiona. Il piccolo gioiello di  Pergolesi ha trovato nel teatro Goldoni di Firenze il suo scrigno ideale:  il piccolo teatro costruito agli inizi dell’Ottocento, ma Settecentesco nelle linee e nella struttura (o perlomeno come emerge dal suo ultimo, ottimo restauro) si presta  benissimo all’atmosfera un po’ goldoniana un po’ da commedia dell’arte che emerge dall’agile e divertente libretto di Gennaro Antonio Federico. La regia di Curro Carreres, ripresa in questa occasione da Silvia Paoli, ha reso perfettamente questa caratteristica senza cedere a tentazioni “attualizzanti” o “originali”; ma le ha impresso un piglio e una dinamicità che hanno del tutto evitato la monotonia che talvolta accompagna ricostruzioni troppo “filologiche”. I personaggi, Vespina e Uberto,  hanno dato vita a una recitazione concitata e spiritosa, calandosi perfettamente nei ruoli della “fanciulla scaltra” e del  brontolone di buon cuore, anche se non proprio vispo di testa; mentre una vela rivelazione è stato Vespone, il servitore che nell’opera ha solo parte di attore. Ben lungi dall’’essere una mera comparsa, il Vespone di Alessandro Ricci è riuscito, pur senza cantare una nota come da … partitura, a essere protagonista non meno degli altri due: con la sua irruenza, con la sua mimica degna davvero dei migliori comici della Commedia dell’Arte e con la sua irresistibile simpatia: da complice silenzioso diventa una “spalla” indispensabile della vispa Serpina, al punto di spintonare il padrone e infilarsi per l’entusiasmo nel letto degli sposi al momento del “lieto fine”.

Una regia dunque doppiamente meritoria: non solo perché convince e diverte, ma anche perché dimostra che la regia tradizionale, quando applicata con intelligenza e elasticità, rimane la migliore ricetta per dar vita uno spettacolo, soprattutto se con qualche secolo sulle spalle. Si dimostra così che un capolavoro non invecchia mai e non ha bisogno di cerone o belletto.

Passando agli interpreti, il baritono Davide Bartolucci è stato un Uberto di buon effetto anche se non strepitoso, forse perché il ruolo richiederebbe più  un basso baritono che un baritono vero e proprio; graziosa anche vocalmente la Serpina di Lavinia Bini, malgrado alcune incertezze iniziali poi superate; soprattutto nel duetto finale la sua voce chiara e limpida ha incantato gli spettatori.  Infine, il direttore Massimiliano Caldi, che aveva già diretto l’opera a Firenze due anni prima, ha ampiamente confermato le aspettative:  una direzione che assecondava e anzi animava la vivacità del palcoscenico, con una chiarezza e un nitore degni delle migliori esecuzioni del Maggio Musicale Fiorentino: senza cedere né ai rigori filologici né agli arrangiamenti, ha restituito al capolavoro di Pergolesi la sua perfetta  misura.

Senza riserve e calorosa l’accoglienza del pubblico, accorso in buon numero malgrado il tempo inclemente.

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