Parla Valentuomo

Pierluigi Battista per «Corriere della Sera», 21 ottobre 2013
Quando venne indicato al pubblico ludibrio come un pericoloso criminale, il fondatore di Fastweb Silvio Scaglia si trovava all’estero. Invece di scappare, tornò in Italia per conferire con i magistrati che lo accusavano. Fu arrestato, e per un anno venne privato della libertà, prima in carcere, in uno spazio angusto dove, come ha detto in questi giorni, perfino un maiale si sentirebbe soffocare, poi agli arresti domiciliari. Scaglia, insieme ad altri manager arrestati nel cuore della notte come fossero i peggiori malfattori, è stato assolto nei giorni scorsi «perché il fatto non sussiste». È stato sbattuto in galera ingiustamente. La sua vita è stata stravolta, i suoi affetti messi a dura prova, la sua professione fortemente compromessa, i suoi beni onestamente guadagnati messi in pericolo. Ha pagato un prezzo elevatissimo, innocente. Chi lo ha privato della libertà senza prove, come al solito in Italia, invece non pagherà alcunché, protetto da un’invulnerabile e iniqua irresponsabilità.
Scaglia avrebbe potuto «ammorbidire» la sua difesa, concedendo qualcosa ai suoi accusatori per allentare la morsa della carcerazione preventiva. Non lo ha fatto e, come ha ricordato Adriano Sofri, i suoi accusatori hanno addirittura considerato il suo «non ravvedimento» come motivo sufficiente per non liberarlo dal carcere, nonostante la presunzione d’innocenza. Visto che è poi risultato innocente, avrebbe per convenienza dovuto interpretare il ruolo di «innocente ravveduto». Una mostruosità. Una delle tante mostruosità di una Nazione che accetta senza reagire la denuncia europea secondo la quale il nostro sistema carcerario ha assunto le caratteristiche efferate di un sistema dedito alla «tortura». Non è un modo di dire, è scritto proprio così: «tortura». Una Nazione in cui le prigioni sono sotto la soglia di uno standard civile, ospitano per il 42 per cento detenuti in attesa di giudizio, metà dei quali risulterà innocente alla fine del processo, rivelando così un uso smodato, incivile, della carcerazione preventiva. Le forze politiche pensano ad altro. Il presidente della Repubblica chiede un impegno straordinario per far fronte con misure anche d’emergenza allo scandalo di uno Stato di diritto sfregiato, ma loro tentennano, fanno i «benaltristi», totalmente insensibili all’illegalità della situazione carceraria. I carcerati, e quelli come Scaglia, sono lasciati soli: da una sinistra oramai accecata da un giustizialismo cupo e feroce, da una destra che dimentica ogni proclama garantista quando ad essere toccato è qualcuno al di fuori del suo cerchio magico. Scaglia ha patito il carcere, e l’attuale presidente del Senato Pietro Grasso non si scuserà per aver proclamato alla stampa, da magistrato, che le accuse contro Scaglia avevano messo in luce «una strage della legalità». No, avevano messo in luce una strage del diritto, ma nessuno si assumerà la responsabilità di questa distruzione.

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