Rinaldo in campo

Se un musical diventa un pistolotto politico

Un'inutile Serena Autieri, un passabile Fabio Troiano, un pessimo regista rovina l'opera di Garinei e Giovannini

di Steve Remington

Se un musical diventa un pistolotto politico

La locandina de "Il Rinaldo in campo" in scena a Roma al Sistina

E dire che una volta nani, ballerine, giocolieri, saltimbanchi, cantori più o meno sfiatati o intonati, anche  rintronati, facevano quattro salti in padella alle Feste de L’Unità e il lunario era sbarcato. I compagni tornavano a casa felici e contenti, le luci si spengevano e buonanotte a suonatori.

Tutto è cambiato, maledettamente cambiato.

I giullari di corte hanno smesso di andare alle Feste de L’Unità, che non sono più quelle di una volta. Ora preferiscono i teatri di gran classe dai quali esaltano il tricolore, attaccano la Lega, e osannano il capo dello Stato, Giorgio Napolitano,  diventato, chissà perché, la nuova icona dei neo democratici repubblicani e tricolori. L’ultimo episodio di questo viaggio intorno al Quirinale l’ha proposto la prima del musical, sì è un musical che pensavate? “Rinaldo in campo”, in scena al teatro Sistina di Roma, il tempio  del varietà di casa nostra.

Saltando a piè pari l’inutile prova di Serena Autieri (lassù Delia Scala e Bice Valori si staranno mordendo le mani), e la sufficiente performance di Fabio Troiano (Domenico Modugno era, è e resterà inarrivabile, ma almeno l’attore prova a dare una sua cifra al personaggio) ciò che ci ha fatto saltare sulla poltroncina rossa del teatro  romano, sembrava di stare seduti sulle camice dei garibaldini!, è la parte finale dello spettacolo dove il regista ha inserito un inutile, quanto fine  a se stesso, osanna al capo dello Stato. Piccolo inciso. Rinaldo in campo era, ed è, una commedia musicale stupenda, incentrata sullo sbarco dei garibaldini in Sicilia e sulla presa di coscienza dei siciliani circa l’unità d’Italia.

Se proprio dal petto ti sboccia un tricolore, non  devi far altro che offrire allo spettatore una lettura naturale, fedele al testo di Garinei e Giovannini. C’è già tutto dentro.

E invece no, il regista ha voluto andare oltre, osando l’inosabile. Sul finale dello spettacolo, quando il tricolore copre la Sicilia, su uno schermo di garza che fa da quinta iniziano a scorrere gli articoli della Costituzione che sanciscono l’unità d’Italia, il tricolore come bandiera, Roma come Capitale e via di questo passo. Ci può anche stare, anche se si tratta di un musical e non di un trattato di storia. Ma quando la Costituzione lascia lo schermo alle foto di Napolitano, quando il tricolore viene opposto alla bandiera della Lega, i titoli di Corriere e Repubblica con i moniti  dell’inquilino del Quirinale opposti alle sparate della Padania, le immagini di Oscar Luigi Scalfaro, Sandro Pertini e Giovanni Leone sparati come santini a cui dire grazie per quello che hanno fatto, come se la storia non si fosse già incaricata di smontare le loro effigi, è davvero troppo.

Soprattutto è inutile, fine a se stesso. Perché trasformare uno spettacolo leggero in un sermone domenicale? Certo il pubblico applaude, ma quello applaude sempre, e il sindaco di Roma  se ne va via parzialmente soddisfatto. Quando si attacca la Lega, in fondo va sempre bene. Il problema è che i giullari di corte, perché questo sono gli attori, i cantanti, i saltimbanchi, devono averci preso gusto a uscire dal loro recinto e invadere quello della politica, sentendosi attori e non spettatori della vita pubblica, intesa in senso lato.

Iniziò Pino Daniele con la famosa “Questa lega è una vergogna”, seguito da Ligabue con “Buonanotte all’Italia” corredata in concerto dalle immagini dei suoi santini, da Enrico Berlinguer a Rino Gaetano per finire con Claudio Baglioni, impegnato in queste sere a riproporre le sue canzoni all’Auditorium di Roma, che offre al pubblico un brano dedicato alla Costituzione. Pezzo scaricabile da Facebook, per chi si vuole documentare.

Insomma, nessuno di noi è affetto dalla malsana idea che chi fa un mestiere pubblico non ha il diritto di esternare le proprie idee, ma quando le idee, proprie, vengono usate per infarcire uno spettacolo solo per provare a dargli uno spessore, finisce che non assisti più ad uno show, ma un machiavellico gioco di subdola educazione  delle  masse. Anzi della massa, quella che ha mandato il cervello all’ammasso e crede ancora alle Feste de L’Unità.  

Piaciuto questo Articolo? Condividilo...

Inserisci un Commento

Nickname (richiesto)
Email (non pubblicata, richiesta) *
Website (non pubblicato, facoltativo)
Capc

inserisci il codice

Inserendo il commento dichiaro di aver letto l'informativa privacy di questo sito ed averne accettate le condizioni.

TotaliDizionario

cerca la parola...