Usanze e presagi

Quello che dovete sapere sulla magia del Natale

La notte Santa gli animali parlano, ma attenti chi li ascolta...

di Marina Cepeda Fuentes

Quello che dovete sapere sulla magia del Natale

Sigfrido Bartolini, Natività, 1956, olio

Il 24 dicembre, Vigilia di Natale, allo scoccare della mezzanotte,  chi ha un giardino oppure vi abita vicino, provi ad uscire e a guardarsi intorno perché secondo un’antica  tradizione quelle ore sarebbero magiche. Si dice, come anche all’Epifania, che gli animali parlino fra loro e che sia pericolosissimo ascoltarli perché si rischia la morte. D’altronde che sia una notte magica lo afferma anche un proverbio istriano: “La note de Nadal  tute le bestie sa parlar”, e cioè  “la notte di Natale tutte le bestie sanno parlare”.

Una volta si credeva che quella notte i fiori germogliassero sotto la neve, che nelle fontane l’acqua si mutassero in vino, che  gli animali parlassero, che le anime di coloro che morivano  volassero  diritti in paradiso e che le nuvole predicessero, a chi le osservava da un crocevia,  tutto quel che doveva accadere  nel nuovo anno. 

Inoltre, secondo una credenza abruzzese, nell’ora esatta della nascita del Bambino gli asini si inginocchiano e le punta delle corna di buoi e vacche diventano luminose.

E si riteneva che nascere a mezzanotte in punto comportasse certamente un destino straordinario: qualche volta buono, spesso cattivo. Chi poi, concepito alla mezzanotte dell’Annunciazione, il 24 marzo, nasceva alla mezzanotte di Natale sarebbe fatalmente una strega, un lupo mannaro oppure un folletto. Per evitare questo pericolo - si raccomandava una volta in Abruzzo - la levatrice, il compare, oppure il padre del malcapitato neonato, doveva ferirlo leggermente in un piedino facendogli uscire almeno una goccia di sangue.

La credenza nella “magia” delle Notte di Natale nasce probabilmente da una leggenda raccontata  in un Vangelo apocrifo, cioè  non riconosciuto dalla Chiesa come ispirato divinamente, e concretamente nel cosiddetto Protovangelo di San Giacomo.

Vi si narra  che Giuseppe  era andato a cercare  una levatrice  perché Maria aveva le doglie. A un certo momento si accorse di essere immobile, di non potersi più muovere. Stava nascendo Gesù.

“Guardai per aria”, racconta, “e vidi che l’aria stava come attonita, guardai la volta del cielo e la vidi immobile, e gli uccelli del cielo erano fermi. Guardai a terra e vidi posata una scodella: e quelli che stavano masticando non masticavano più, e quelli che stavano prendendo cibo non lo prendevano più, ma i visi di tutti erano rivolti in alto. Ed ecco che alcune pecore erano condotte al pascolo, e non camminavano, ma stavano ferme; e il pastore alzava la mano  per percuoterle con il bastone, e la sua mano restava per aria.  Guardai alla corrente  del fiume e vidi che i capretti tenevano il muso appoggiato  e non bevevano... e insomma tutte le cose, in un momento,  furono distratte dal loro corso”.

Una volta si traevano anche presagi per l’anno nuovo. Perciò, in molte regioni italiane, dal Veneto all’Abruzzo, la sera della Vigilia si ponevano nel camino, vicino al fuoco, 12 chicchi di grano che rappresentavano i  mesi. Nessuno doveva toccarli fino alla mattina quando si osservavano i loro eventuali spostamenti: se qualche chicco si era mosso in avanti, nel mese che esso simboleggiava il prezzo del grano sarebbe aumentato; se fosse rimasto al suo posto il prezzo sarebbe stato stabile.  E nelle valli del Natisone, in Friuli, le ragazze che volevano conoscere  la propria sorte sentimentale,  si facevano portare sulle spalle da un’amica  fin sulla porta del porcile: il numero degli anni che mancavano  alle nozze veniva dedotto  da quello dei grugniti che il maiale avrebbe emesso  sentendola arrivare. Mentre la ragazza usciva i suoi familiari  nascondevano sotto tre piatti una fede, un pettine e una chiave. Al suo rientro lei doveva scoprire  un solo piatto  e guardare che cosa ci fosse sotto di esso: la fede significava matrimonio d’amore, il pettine matrimonio controvoglia, la chiave indicava che sarebbe diventata un’ottima casalinga.

Ancora oggi, infine, si pratica  in alcuni luoghi, specialmente in campagna, il cosiddetto “Presagio delle Calende”, o “Calende dei contadini”, chiamato in epoca bizantina “presagio dei dodici giorni”. In realtà il termine “calende” (da cui deriva la parola calendario) non sarebbe il più adatto a indicare il presagio natalizio perché  riguarderebbe propriamente il primo dell’anno, ma tutto sommato, come scrive Alfredo Cattabiani nel Lunario (Mondadori) il Natale, si può ritenere una festa di “capo d’anno” poiché originariamente celebrava la rinascita del nuovo sole, del Sole Bambino.

Il suddetto “presagio” dunque, consiste nel pronosticare lo stato del tempo dall’osservazione delle condizioni meteorologiche nei dodici giorni compresi nel periodo solstiziale, ma che  varia da zona a zona; in ogni modo, i  giorni indicatori sono compresi in tre cicli: il primo va dalla festa di Santa Lucia del 13 dicembre, che una volta era la  data solstiziale, fino  al 24 dicembre; il secondo dal  25 dicembre al 6 gennaio; il terzo dal primo al 12 di gennaio. Si fanno corrispondere a questi giorni i dodici mesi dell’anno: se la giornata sarà bella o brutta anche il mese corrispondente sarà contrassegnato da tempo sereno e viceversa. In alcune regioni dell’Italia settentrionale, dal Friuli fino alla Lombardia e all’Emilia, al conteggio dei dodici giorni segue  talvolta una verifica: si osservano  anche i dodici successivi, ma li si abbinano ai mesi in modo inverso: per esempio il primo corrisponde a dicembre e così via fino all’ultimo che corrisponderà a  gennaio. In caso di discordanza  fra i due cicli si dedurrà  che il tempo sarà incerto.

Ma data la complessità e lunghezza del conteggio forse converrebbe dare ascolto semplicemente ad alcuni proverbi che, bonariamente, pronosticano il tempo nelle due principali feste cristiane: “Natale al sole, Pasqua con le nuvole”; “Natale al sole e Pasqua vicino al fuoco”; “Tempo buono per Natale, cattivo per  Pasqua”

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