Editoriale

Maturità: un rito di iniziazione dei nostri tempi, parola di insegnante

Il difficile equilibrio richiesto agli educatori di scuola media secondaria fra severità, autorità, autorevolezza e comprensione per portare i nostri giovani all'età adulta

Domenico Del Nero

di Domenico Del Nero

otte prima degli esami. I pronostici impazzano sul web e per una volta i classici della letteratura italiana e latina, complicati teoremi ed equazioni  matematiche si trovano ad essere oggetto di quotazioni peggio dei titoli di borsa.  Lo spread tra Pascoli e Ungaretti  si allarga, mentre per latino le azioni del terribile Tacito prendono sinistramente quota …   O tempora, o … dolores!

Del resto, i tempi cambiano e anche le metodologie dell’italicissima arte di arrangiarsi. Ai bigliettini scientificamente infilati in tutti i pertugi possibili e immaginabili  si sostituiscono i cellulari, in un tentativo squallido e stupido di “scaricare” la versione o (più difficilmente) il compito di matematica dal web.  Cosa squallida e stupida, appunto. Il bigliettino poteva costituire un aiuto che del resto, in quella circostanza anche un professore che si rispetti può dare … Se li abbiamo fatti sudare e faticare per anni, insegnando loro prima di tutto che un risultato si costruisce e non si truffa, meritano un po’ di soccorso.

Aiuto, sì; ma con misura e discrezione. Sono patetici e ignobili quegli insegnanti che “fanno il compito” ai loro alunni in fase di ”maturazione”. Ecco il nostro grande problema: un tempo si chiamava “esame di maturità” proprio perché metteva alla prova non solo le competenze disciplinari degli studenti,  ma anche la loro capacità di affrontare una prova.  Abolito ormai il militare obbligatorio, si può dire che l’esame di stato (come più asetticamente lo si chiama oggi) sia rimasto l’unico “rito di iniziazione” per i giovani, tra l’altro in perfetta “parità”  per i due sessi.

Scippare loro questa occasione (o anche semplicemente annacquarla)  di misurarsi con se stessi, dosare le proprie forze, affrontare una competizione in cui certo hanno  un ruolo (mai, comunque, determinante) anche il caso e la fortuna, significa privarli di una grande opportunità. E soprattutto dare loro un messaggio profondamente sbagliato: che con la furbizia e il “mammismo” in questo straccio di paese  la si sfanga sempre . Non meravigliamoci, allora, della meritatissima classe “dirigente” che ci ritroviamo ….

Certo, è un appuntamento importante per tutti, discenti e docenti. Tra i ragazzi, c’è chi lo vive in modo più o meno spavaldo, chi comincia a entrare in crisi un mese o una settimana prima, chi si ripete come una sorta di mantra che tanto non ce la farà mai. Ma a parte il fatto che oggi come oggi, per bocciare all’esame di stato occorre impegnarsi più che per promuovere (chi scrive si è sentito dire pure che Dante era morto a Sant’Elena; e si trattava di una maturità di liceo scientifico! In compenso, in una maturità classica, appresi con profondo stupore che lo scrittore siciliano per eccellenza Giovanni Verga era in realtà nato in Piemonte) i ragazzi sono poi in definitiva più sereni di quanto non sembri e non paia. Per certi aspetti, sono talvolta i docenti a essere più turbati.

Alcuni commissari “esterni” infatti vivono l’esame come una sorta di rivalsa, come un modo per far vedere quanto sono bravi e impavidi e come invece la stragrande quantità dei loro colleghi sia un branco di incapaci. Posto anche che questo sia vero, non si capisce perché debbano andarci di mezzo i ragazzi.  Alcuni interni invece concepiscono l’esame come una sorta di … processo al proprio operato, per cui l’esame si trasforma in un conflitto fra le due anime della commissione, il che certo non giova a nessuno, tantomeno ai poveri “candidati”.

L’ideale è quella situazione equilibrata per cui tutti i commissari, interni o esterni che siano, non assumono le parti grottesche e del tutto fuori luogo  degli aguzzini o delle “tate”. E per fortuna questo equilibrio sovente si raggiunge, soprattutto quando il presidente è una persona decisa che sa il suo mestiere. Non sempre, però, è così.

Ogni classe, soprattutto quando la si è portata avanti per anni, costituisce un capitolo importante nel libro della vita di un insegnante. Qualsiasi rapporto si abbia avuto con essa, più o meno buono, proficuo (la “risposta al dialogo educativo” come recita il burocratese scolastico)  o …. da bancarotta,  sono persone con cui abbiamo interagito tutti i giorni,  sopportando le loro continue richieste di andare in bagno, a volte dopo neppure mezz’ora di lezione (il che potrebbe persino suonare come offensivo), le loro scuse assurde, la loro incapacità di concentrarsi o di assumersi le proprie responsabilità; ma li abbiamo anche visti crescere, provato l’emozione di vederli  aprire alla vita e alla conoscenza, passare da un balbettio a mala pena comprensibile a un ragionamento articolato e coerente. E non solo questo: abbiamo condiviso (perlomeno, chi sa farlo; ed è una delle cose più belle dell’insegnamento liceale) qualche volta i loro sorrisi, riso con loro …. Il buon insegnante deve saper stare in cattedra, ma anche cogliere il momento in cui è opportuno o necessario scenderne, senza per questo assolutamente venir meno al suo ruolo.  E soprattutto, saper fare ai ragazzi tutte le partacce del caso, senza risparmiargli nulla; ma anche fargli comprendere senza mezze misure quanto siamo orgogliosi di loro, quando se lo meritano.

Tutto questo per far capire come, soprattutto per un membro interno, non sia  certo facile assumere il giusto e doveroso equilibrio  nei confronti dei propri ragazzi quando si giunge all’atto finale.  Ma è assolutamente necessario, altrimenti tutto il lavoro di anni rischia di andare in fumo: e anche la stima dei ragazzi stessi,  se si accorgono che un loro “prof” abdica al suo ruolo.

Quindi …. In bocca al lupo, ragazzi. Stringete i denti, è l’atto finale che chiude peraltro una delle stagioni più belle della  vostra vita. Quello che oggi vi fa sudare più delle temperature africane vi sembrerà tra qualche giorno un qualcosa di molto meno terribile di quanto pensavate. Ma se sarà stato davvero il culmine di un processo di maturazione, allora sarete davvero cresciuti più di quanto possiate pensare. E insieme a voi, potrà forse ricominciare a crescere  anche il nostro povero Paese.

Dedico questo articolo alla mia “fuoriclasse” del liceo Vasari di  alcuni anni fa, quella che per ora ha scritto il capitolo più importante  della mia attività di insegnante e uno dei più belli della mia vita.

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    2 commenti per questo articolo

  • Inserito da ghorio il 19/06/2013 12:54:49

    Condivido e sottoscrivo l'editoriale di Domenico Del Nero. Ad ogni modo sono del parere che sugli esami di maturità o di stato , come si chiama adesso, col risultato che poi, magari per fare il professionista, bisogna ancora fare "l'esame di stato" ci sia una specie di sindrome d'ansia collettiva, almeno da un trentina d'anni a questa parte. Negli anni 60 l'esame era molto più difficile e gli spazi sui giornali, il web non esisteva, erano , giustamente , striminziti. Adesso invece è tutto il contrario. Non solo: la preparazione era senz'altro migliore, con la Storia della letteratura italiana, condensata in uno solo volume e non i quattro di oggi, ma tutti sapevano dove era morto Dante e di Foscolo, Leopardi, Manzoni, Alfieri, D'Annunzio, Pascolo, Carducci, si conosceva a mena dito tuto o quasi. Capisco adesso che c'è la lotta al nozionismo ma mi ricordano gli studenti delle costosissime Università statunitensi, magari con il Master ad Harvard, che ignorano i personaggi tipo Giulio Cesare, Napoleone e per stare nel campo economico sociologico, l'italianissimo Pareto.

  • Inserito da Loredana il 19/06/2013 10:34:13

    Leggendo questo articolo, capisco quanto sia stato non rispettato il ruolo del membro interno nell'ambito della mia maturità, in un secolo precedente, ormai. Non rispettato nel senso che la stessa persona che lo ricopriva non aveva compreso le sfumature del suo ruolo, e se n'era servita semplicemente per avallare un raggiro di lunga data ai danni di noi studenti, con la connivenza degli altri professori. Leggo le sue descrizioni, Sig. Del Nero, e faccio il raffronto non solo con il mio esame di maturità, affrontato con il solito piglio da samurai che mi porto dietro dalla nascita (in termini moderni posso dire che ero una "nerd" al liceo), che mi portava a rifiutare bigliettini e aiutini vari, ma con i professori che mi hanno accompagnato per cinque anni fino a quel traguardo. Il risultato? I miei professori ne escono con le ossa rotte. Non solo rimandati a settembre, ma proprio ricacciati indietro lungo l'iter scolastico, a ricominciare dalla "loro" maturità, per poi proseguire e rifare tutto il percorso per diventare professori. Alcuni di loro erano competenti e anche persone piacevoli, tutto sommato. Tuttavia, non mi ricordo che avessero manifestato nemmeno metà di una delle caratteristiche che Lei ha evidenziato nel suo bell'articolo. Quando parla di insegnanti "patetici e ignobili" ho sicuramente dei nomi, in mente. Quando parla di "buoni insegnanti"...ecco, devo sforzarmi parecchio. E il nome, e parlo al singolare, continua a restare nascosto al mio occhio mentale. Se penso alla mia maturità, ai temi e alle prove affrontate, ho tuttavia un bel ricordo. Io avevo scelto temi più originali e personali, che avevo studiato con cura ancora maggiore. E quando il tutto finì, con l'ultimo orale...sentii di aver portato a termine il mio dovere. Ecco, questa è stata la sensazione più bella che posso ricordare di quel momento.

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