Editoriale

Istanbul e la miccia turca

Sì, certo, ora la rivolta ha assunto altra forma per via dell'agglomerato di manifestanti per un po' di tutto, ma questo non basta

Marika Guerrini

di Marika Guerrini

Marika Guerrini nasce a Pozzuoli. Scrittrice, indologa, storica dell'Afghanistan, studiosa di antropologia culturale e pedagogica e del pensiero filosofico di Rudolf Steiner. Ideatore del "Sakura Arte Roma" da tempo ha rivolto la sua attenzione alla geopolitica internazionale con particolare attenzione alla regione centro asiatica meridionale India inclusa. Ha vissuto in Afghanistan e Iran. Vive e lavora a Roma. Autrice di "Grigiarancio" Asefi Terziaria 2000 ( seconda ediz. ampliata, Amazon 2011, Smashwords Edition 2011, lulu book 2011); "Massoud l'Afghano il tulipano dell'Hindhu Kush" Venexia 2005; "Afghanistan Profilo Storico di una Cultura" Jouvence 2006; saggi e articoli in volumi collettivi tra cui "Tripartizione Umana ed Educazione" Graus 2007; "L'orientalista guerriero" Il Cerchio 2011. Il suo blog http://occiriente.blogspot.com

ce con il persistere della rivolta la preoccupazione per la Turchia. Non vogliamo dare spazio a timori né adito ad analogie tra Taxim Meydani e Piazza Tahrir. Altra terra, altre condizioni, altro popolo. Ma resta indubbio che tutto si presenti alla mente, ritorni agli occhi con forze dell'ordine in assetto da sommossa, lacrimogeni, cannoni ad acqua, arresti (ad oggi 40 pare), feriti (ad oggi una decina, pare). Istanbul non si tocca, verrebbe da urlare, ma quel che la cronaca ci ha mostrato, ci mostra, parla una lingua diversa.

I fatti li conosciamo. Sappiamo che, oggi una settimana, una manciata di ambientalisti, dicono dieci, fermi in un pacifico sit-in, attendatiti al Gezi Park, dopo quattro giorni si è trasformata in rivolta. Lì nelle adiacenze di Taxim Meydani, piazza, cuore moderno, pulsante, europeo di Istanbul. Luogo d'incontro d'intellettuali, studenti, artisti, luogo di musei, pub, hotel, ristoranti: quando la città dorme Taxim vive, ricorda un detto locale. Lì, il pacifico silenzio, s'è fatto protesta di migliaia, diecimila più o meno, di manifestanti contro il Governo. E s'è creato un Movimento, improvviso anch'esso, anch'esso come sorto dal nulla, denominato "Occupy Gezi". E non ci piace. Questa faccenda dall'acre sapore di sobillazione, infiltrazione, costruzione... non ci piace. Non ci piace che la protesta, in un batti baleno, si sia fatta d'ogni  tipo, dagli scioperanti della Turkish Airlines a sindacalisti della Confederazione Disk, dai gay d'ambo i sessi, loro malgrado, a parlamentari dell'opposizione, da esponenti del Partito Curdo (ferito Sirri Sureya Onder-deputato curdo) ad attivisti del Movimento Light, da amanti e o consumatori di alcool ( ci sono state recenti misure costrittive governative su pubblicità e vendita di alcolici) a militanti per i beni comuni e ancora e ancora, tutti lì a rinfoltire la manciata di iniziali ambientalisti. Tutti in un batti baleno. Tutti sappiamo quanto il tutto celi una manovra...e non ci piace. 

Ora, prescindiamo per un attimo, anche solo per un attimo, dall'arroganza di Erdogan, dal suo centralismo, dalla rigidità e l'attitudine al comando, prescindiamo dalle accuse del popolo: osserviamo dall'alto, con distaccato occhio storico. Ci si presenta anche qualcos'altro che non ci piace: il "preoccupato" commento statunitense sulla faccenda. "Siamo convinti che  a lungo termine, la Turchia, stabile, sicura e prospera, darà maggiore possibilità di espressione, riunione e associazione, che è quel che sembra chiedere la gente.", così Jen Psaki, portavoce del Dipartimento di Stato. Portavoce d'una voce dimentica dei fatti americani dell'ottobre 2011, dei fatti occorsi tra Wall Street e il ponte di Brooklyn, dei circa 700 arresti di giovani pacifici, dimostranti  contro l'iniquo assetto economico etc. Voce dimentica delle violenze perpetrate dalle forze dell'ordine, ben più che manganellate, lacrimogeni ed acqua pressata. Oltremodo dimentica che questa è prassi nei "democratici" States. Ma quest'ipocrisia della voce dimentica ci fa comodo: ci mostra la zampa, quella che, fingendo una preoccupazione per l' "amico" Erdogan, lo silura e aderisce alla rivolta di comodo. No, nulla va tolto alla rivolta, nulla va tolto alle legittime richieste, ma perché non si dice che i manifestanti hanno già ottenuto soddisfazione, che il Tribunale di Istanbul, malgrado l'ostinazione di Erdogan, non solo ha accolto il ricorso, ma ha annullato il permesso di demolizione degli alberi dando quindi impedimento alla costruzione. Perché non si dice che dieci imprese, facenti parte del progetto, l'hanno abbandonato  aderendo alle richieste dei manifestanti. Perché non si dice.

Sì, certo, ora la rivolta ha assunto altra forma per via dell'agglomerato di manifestanti per un po' di tutto, ma questo non basta. Quale il fine ultimo: la deposizione di Erdogan, le sue dimissioni? Malgrado le carenze governative, la legittimità delle accuse mosse dal popolo, malgrado la base Nato, l'"amicizia" americana, le strette di mano, gli accordi, malgrado l'Europa, è forse Erdogan troppo poco burattino per soddisfare appieno il movimento della zampa sulla regione? Non va dimenticato questo, né la Siria, né la precedente amicizia fra Erdogan e Assad. Non va dimenticata Israele con le sue inarrestabili  paturnie tarantolari. Non va...  ma non ci va di ricalcare il noioso già detto.         

La speranza è che, nel tempo di questa pagina, la rivolta si sia chetata o stia per. E' che nessuno osi fare di Istanbul una miccia per la sua terra ed oltre. E' che non sia scritto che si svegli un mattino tra i fumi d'una primavera assassina come già in altri lidi. La speranza è che Istanbul possa continuare a tuffare le sue splendide rive nel Bosforo, in quell'estremo lembo d'Europa, lì, tra passato presente e futuro, occidente ed oriente. Ma questa, come spesso accade in queste pagine, è desiderio di scrittore, utopia, forse. Null'altro.

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