Del Katechon, il potere che frena

Il Potere che Frena, la filosofia di Massimo Cacciari tra teologia politica e secolarizzazione

La struttura teoretica del saggio sembra discendere, innanzitutto, da un punto ideale da cui conseguono tutte le considerazioni filosofico-politiche di Cacciari:

di Giovanni Sessa

Il Potere che Frena, la filosofia di Massimo Cacciari tra teologia politica e secolarizzazione

Indubbiamente i libri significativi, quelli che restano nella memoria collettiva, sono tali in quanto latori o di posizioni critiche e stimolanti, o addirittura, di possibili soluzioni dei problemi che caratterizzano una data circostanza storico-esistenziale. Ritengo che questo sia il caso dell’ultima opera di Massimo Cacciari, Il potere che frena(Adelphi, Piccola biblioteca, Milano 2013, euro 13,00). Il volume, a tutta prima, sembra avulso da qualsiasi riferimento all’attualità e costruito, come tutti i precedenti lavori del filosofo veneziano, su un solido apparato erudito mirato all’esegesi di un tema complesso e non privo di ambiguità, ricorrente da tempo nelle pagine cacciariane. Quello del Katechon, il potere che trattiene e contiene, che arresta e frena l’assalto dell’Anticristo, ma che dovrà essere distrutto e eliminato per lasciare emergere il che cos’è dell’Anticristo stesso, preludio necessario al definitivo giorno del Signore.

    Tale figura fa la sua comparsa in letteratura nella Seconda lettera ai Tessalonicesi, attribuita a S. Paolo. Essa è stata ampiamente discussa ed interpretata nella tradizione teologica a partire dalla prima Patristica. Il volume è corredato, allo scopo, da un’antologia dei passi più significativi di tali prove esegetiche, che vanno da Ireneo di Lione a Calvino. Il che rappresenta un primo pregio del libro, consentendo al lettore un’accorta contestualizzazione storica dell’argomentazione teoretica di Cacciari, nonché la comprensione delle differenze ermeneutiche presenti nelle posizioni di chi, nel corso del tempo, si è confrontato con tale simbolo e con le problematiche ad esso connesse. Inutile dire che, la riflessione generale che domina queste pagine, sviluppata in divergente accordo con il politologo Carl Schmitt, è di natura teologico politica. Meglio, essa tende a rintracciare, muovendo dall’oblio contemporaneo, indotto dal processo di secolarizzazione, le radici escatologico-apocalittiche delle forme del Politico in Occidente.

     La struttura teoretica del saggio sembra discendere, innanzitutto, da un punto ideale da cui  conseguono tutte le considerazioni filosofico-politiche di Cacciari: l’impossibilità dell’Ordnung.  Il pensatore ha analizzato questa tematica in un saggio davvero significativo, Intransitabili utopie, con il quale ha accompagnato la pubblicazione de La Torre di Hugo von Hofmannsthal (Adelphi, Milano 1987, pp. 155-226). Qui egli ha sostenuto che la riaffermazione della politica come Kultur è utopia intransitabile. Ad essa anela il personaggio hofmannsthalliano di Sigismund, che nella narrazione drammaturgica vive recluso nella Torre. Questa posizione, acquisita da tempo nei riferimenti ideali di Cacciari, fa il paio, però, con il tono generale delle riflessioni di questo volume, sovrastato, questo il nostro parere, dalla situazione emotiva dell’attesa. Il riferimento immediato che ci è sembrato di poter cogliere è heideggeriano: in particolare, esso è stato presentato dal filosofo tedesco nelle pagine dei Contributi alla filosofia (dall’Evento) (Adelphi, Milano 2007), in cui si sostiene che la nostra età è l’epoca del tramonto, termine inteso in senso essenziale, quale cammino che conduce alla tacita preparazione “…di ciò che viene” (ivi, p.389). Esattamente in tale contesto teorico il libro di Cacciari assume un tratto attuale: può essere letto come esplicitazione delle ragioni profonde del momento presente, della crisi attuale, della dimensione sospesa tra un non più e un non ancora dell’ora che viene.

     Sarà stato casuale, ma Il potere che frena ha visto la luce nell’interregno della Chiesa, sospesa tra il pontificato di Benedetto XVI, che si è chiuso con una tragica presa d’atto del fallimento del grandioso progetto di ri-evangelizzazione dell’Europa iniziato da Giovanni Paolo II, e il nuovo ministero pontificale affidato a Papa Franceso. In un momento di drammatica crisi della rappresentatività politica nelle liberal-democrazie, peraltro sconvolte dal fenomeno della proletarizzazione di vasti strati sociali, e in cui domina una diffusa insicurezza. Per questo in esso è possibile leggere una sorta di fenomenologia della liquidità sociale dei nostri giorni, a patto che non lo si riduca semplicemente a una narrazione cronachistica e/o complottistica del  tempo presente!

   L’incipit del discorso di Cacciari è dato dall’analisi della posizione paolina relativa al katechon: il Signore Gesù non verrà prima del compiersi definitivo dell’opera del suo Avversario, caratterizzata dal pieno dispiegarsi della apostasia e dell’anomia. Il giorno del Signore deve essere atteso in un tempo intermedio nel quale agisce la potenza raffrenante del katechon. In esso i puri di cuore, i persuasi, devono operare in modo da esplicitare come il presente, il loro esser-nel-mondo, valga semplicemente in funzione dell’ infuturarsi, essenza della promessa evangelica. Non basta, nell’affermarsi dell’anomia, mettere in atto tentativi esclusivamente “politici”, mirati a ridar forma alla realtà e al mondo, legati a un presente che in sé si chiude, un presente letto nell’ottica del Tragico. Questa è la posizione che ha conquistato nel mondo cristiano ampio spazio a muovere dalla tradizione paolino-agostiniana: ha prodotto, attraverso la decisione per il futuro, la rottura del nesso ontologico, tipicamente tradizionale, di potestas e auctoritas. Il fedele, che riesce a leggere nella distinzione trinataria di Padre e di Figlio, due volti dell’Unum, nel potere politico che sempre, per definizione, rappresenta, rinvia ad Altro, è indotto a vedere una autorità che discende dal rappresentato. Si palesa, in tali termini, la differenza sostanziale tra rappresentato e rappresentante, nella sua costitutiva ambiguità.

   Per questo, la funzione del katechon è decisamente problematica nella prospettiva cristiana: è necessaria, ma deve alla fine essere spazzata via. Essa è stata più volte identificata con l’Impero, un potere in grado di costituire il destino di un’epoca, di tenerla insieme nell’ottica della lunga durata e della sicurezza del nomos, della Legge. Ma, ci ricorda Cacciari: “All’idea di epoca…cui corrisponde quella di impero come forma politica…si contrappone un’idea del tempo segnata dalla possibilità sempre aperta della crisi, della decisione, del salto” (pp. 28-29). E’ questa idea di tempo davvero consustanziale alla prospettiva teologica paolina, che riconosce l’istanza del potere politico a fare epoca, soltanto se essa si lasci ricomprendere alla luce dell’Evo: lo stare del Politico deve essere ridotto a momento, in quanto solo l’Evo è l’Aion, la Vita Eterna dell’infuturarsi. Del resto all’Impero stesso, nel suo voler-fare-epoca, è connaturata una dimensione pro-duttiva, che lo induce ad incontrare la dimensione dell’apertura e della decisione. E’ già, in qualche modo, compromesso con l’Evo e, quindi, con la sua necessaria fine. La storia d’Europa, pertanto, è connotata dall’avvallo ecclesiastico di un potere catecontico, avente il crisma dell’autorità spirituale. Venuto meno tutto ciò, non è restata che la forma mortale e desacralizzata dello Stato moderno, teatrale messa in atto, finzione del fare-epoca.

   Catecontici sono stati il ruolo e la funzione della Chiesa stessa: ha cercato storicamente di trattenere l’anomia, per un certo periodo in sintonia con la funzione imperiale. La conclusione della sua opera coinciderà con il disvelarsi dell’Anticristo ma, al medesimo tempo, la sua azione testimonia: “…che il soffio della bocca del Signore ne distruggerà il regno come in un grande istante”( p. 71). Per tale ragione, qualsiasi funzione di arresto o di contenimento del dissolversi dell’insieme politico, che non sia riconducibile in profondità all’idea di conversio, non potrà apparire che complice dell’Avversario. Ciò che risulta davvero paradossale, è l’essere implicito nella stessa funzione catecontica in quanto tale, per la sua prossimità, sia pure contrastante, con il potere dissolvente, della forza dell’anomia, così come sconcertante, a tutta prima, può risultare, per la stessa ragione, il tratto normativo e non-anarchico presente nell’Avversario. Tale aspetto produce la fuga da queste istituzioni, non soltanto delle moltitudini, realtà oggi sotto gli occhi di noi tutti, ma cosa ancor più significativa e anch’essa di stringente attualità, la secessio di Chiesa e Impero: “…dalle loro proprie missioni, dalle funzioni e dalla fede che avrebbero dovuto incarnare” (p. 80).

    Cacciari sviluppa una vera e propria descrittiva del nuovo ordine dell’anomia, in cui è possibile rilevare tratti salienti, sotto il profilo sociologico ed esistenziale, dei nostri giorni. Esso è fondato sull’universale mobilitazione, l’insofferenza globalizzante di ogni confine, la liquidazione di ogni ethos: “Esso opera la de-sostanzializzazione di ogni potere politico- ma quest’opera è ancora prassi politica” (p. 82). Siamo nel regno della libido dominandi, che ha assunto il volto narcisistico della realizzazione mercuriale, nell’immediato, di qualsivoglia desiderio. L’eterodirezione segna i confini, anche intellettuali, del mondo dell’ultimo uomo, mondo di greggi ostili a qualsiasi guida pastorale: “Non vi è né Fine né attesa, se non quella che sempre si ripete della soddisfazione del proprio individuale appetito” (p. 84). Questo è l’eterno ritorno nel regno di Placidus,  il nome che l’Avversario ha assunto nelle pagine di mistici russi come Florenskij e Solov’ëv.  O, come ricorda il filosofo veneziano, l’Evo di Epimeteo, dell’insecuritas diffusa, della crisi permanente: l’ultimo spasmo del tempo prima della decisione, la cui durata è imprevedibile.

      Il lettore che ha avuto la pazienza di seguirci fin qui, nella breve presentazione de Il potere che frena, avrà certamente capito che si tratta di un libro nel quale si incontrano tematiche complesse e pressanti: l’autore si interroga e ci interroga in merito al nostro da dove, e questo domandare implica spostare l’attenzione sul nostro stesso per dove. Le sue argomentazioni, in qualsiasi modo le si giudichi, possono stimolare un interessante iter di pensiero in quanti siano oggi impegnati in un’opera di ri-definizione di categorie esegetiche che consentano di  portarsi oltre le logiche del mondo global . Nelle sue pagine aleggia e si manifesta il lento farsi di un pensiero in attesa di ad-venienti, il cui tratto essenziale, riteniamo per questo, possa essere definito dall’espressione filosofia futura. Nostra speranza e auspicio è che essa, integrata dal pensiero di Tradizione, possa inverarsi in una filosofia-del-divino che rinvii, in quanto pensiero dell’Ordine, ad un Nuovo Inizio. Esattamente sulla scorta di quel platonismo, recuperato dal primo Lukács, significativamente presente in Cacciari, che, in quanto ethos, è stato essenzialmente un dare-trovare luogo, all’uomo anelate ad abitare poeticamente la terra.

    

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