Editoriale

Ricordando Adriano Romualdi, la malinconica realtà della destra di oggi e forse di domani

Si sta allora preparando un nuovo “esilio in patria”? Lo lascia pensare l’autolesionismo del ceto politico “di destra

Giuseppe del Ninno

di Giuseppe del Ninno

e commemorazioni non sono certo le occasioni migliori per immaginare il futuro; tuttavia, rappresentano spesso un momento adatto a stilare consuntivi e a lanciare uno sguardo sull’attualità e i suoi possibili sviluppi. Nei giorni scorsi, ho partecipato ad un incontro in memoria di Adriano Romualdi, nella sala intitolata a Pietro da Cortona, nei Musei Capitolini. Mi era sembrata l’occasione giusta per ricordare un amico prematuramente scomparso a seguito di un incidente stradale, nell’agosto di quaranta anni fa, e per rivedere altri amici, persi di vista in questo lungo periodo.

Un amico, Adriano, ma anche un “fratello maggiore” e una guida culturale per tutta una generazione di giovani che si apprestava a rilevare il testimone, nella vita pubblica, da quella che aveva vissuto la guerra e il dopoguerra dalla parte degli sconfitti. Figlio di Pino – che era stato esponente di rilievo della Repubblica Sociale Italiana e tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano -  e allievo di Renzo De Felice, Adriano si era fatto apprezzare come storico – in particolare del movimento metapolitico affermatosi fra le due guerre e che va sotto il nome di “Rivoluzione Conservatrice” – e come animatore culturale, in una fase storica in cui “essere a destra” comportava, fra l’altro, l’essere ignorati – o, in alternativa, vituperati – dai  mass media.

Di passata, dirò che l’incontro mi è sembrato in tono minore, a partire dall’assenza di alcuni dei relatori in programma e dal mancato coinvolgimento di personaggi che Adriano conobbero e con il quale condivisero iniziative politiche e editoriali (in pratica, il solo Rodolfo Sideri ha sviluppato considerazioni attinenti al tema e tratte dal suo recente “Adriano Romualdi. L’uomo, l’opera e il suo tempo”, Edizioni Settimo Sigillo, gli altri intervenuti praticando il piccolo cabotaggio dell’aneddotica personale).

Così, specie nel deserto delle iniziative politico-culturali della Destra, si è sentita la mancanza di qualsivoglia riferimento di più ampio respiro sia al clima di quei tempi sia alla più stringente attualità. Tanto per limitarsi alla questione più imminente e di maggior peso – l’elezione del Capo dello Stato – sta riaffiorando con solare, ma taciuta evidenza l’esclusione – l’auto-esclusione? – da ogni dibattito di quella comunità umana, prima che politico-partitica, collocabile, appunto, a destra, e dei suoi rappresentanti.

Tra i nomi indicati dal leader della coalizione di centro-destra figurano niente meno che quelli di D’Alema e Amato, in linea, del resto, con gli esiti delle ultime quirinalizie, dove si sono imposti – spesso con i voti dei “grandi elettori” del centro-destra – personaggi con una storia politica di sinistra. E questo, in un paese dove, dal 1948 in poi, le maggioranze di votanti hanno mandato al governo forze dell’anti-sinistra…

Ma torniamo alla commemorazione. E’ vero: il pubblico – forse me compreso – richiamava per lo più l’immagine degli anziani naufraghi, sopravvissuti alle tempeste della storia. I temi che hanno caratterizzato non soltanto gli studi e le elaborazioni teoriche di Adriano – l’Europa Nazione, la forma Partito, i rapporti con certo “americanismo”, la rilettura di Autori fondamentali per la “cultura di destra” e dello stesso ventennio fascista – ma poi tutta una stagione politica, sembrano svaniti dall’attualità di oggi.

Altri temi, invece, sia pure in una varietà di declinazioni, sono ormai condivisi anche dagli epigoni di altre famiglie ideologiche: prima fra tutti, la questione della sovranità nazionale, da armonizzare con il processo di unificazione europea; ma anche la revisione della Costituzione, percepita da più parti come inadeguata ai tempi.

Non è fuor di luogo ricordare come, ai tempi di Adriano Romualdi il popolo della destra, ancora fortemente influenzato da nostalgie fasciste, si fosse acconciato a identificare la militanza politica con la testimonianza e la fedeltà alle proprie idee, senza alcuna possibilità di incisiva partecipazione alla vita pubblica.

Quello dell’opposizione – nelle aule assembleari, ma anche nelle scuole, nelle università, nel sindacato, nelle fabbriche – sembrava un destino ineluttabile.

La teoria dell’arco costituzionale, che amputava il sistema politico-rappresentativo della sua componente di destra, trovava un puntuale riscontro nell’ostracismo dichiarato, ad esempio, dalle case editrici e dai giornali “importanti”. Tanto per fare solo qualche esempio, oggi Adriano avrebbe pubblicato i suoi scritti non già presso piccole, meritorie case editrici, bensì da Mondadori.

Perfino testate in grado di vendere molte copie, come fu per “Il Borghese” di quegli anni – “Il Borghese” di Mario Tedeschi e Gianna Preda, di Claudio Quarantotto e Luciano Cirri – riscuotevano il silenzio sdegnato o il pubblico disprezzo dei “padroni” delle istituzioni culturali e dell’informazione.

La storia, come sappiamo tutti, è cambiata, e non è certo questa la sede per riepilogarne le svolte; qui però vogliamo suonare un campanello d’allarme, proprio a partire dalle occasioni solenni della Repubblica, come l’elezione del Capo dello Stato o le ricorrenti celebrazioni del 25 Aprile.

L’Italia, abbiamo appena ricordato, ha tenuto in isolamento, in una condizione che Marco Tarchi ha definito nel titolo di un suo saggio, quella degli “esuli in patria”, un “popolo” indotto a riconoscere soltanto i torti della propria storia, anche quando le rispettive biografie potevano svolgersi soltanto nel segno dell’innocenza.

Qualcuno ha scritto di recente che, tra i condizionamenti del presente e del futuro di questo nostro paese, pesa soprattutto la nostra incapacità di riconoscerci in un unico Atto Fondativo, quasi che l’alternativa fosse quella di sentirsi ancora dalla parte dei “vinti” o di uniformarsi al “pensiero unico”.

Si sta allora preparando un nuovo “esilio in patria”? Lo lascia pensare, tra l’altro, l’evidente autolesionismo del ceto politico “di destra”; lo lascia temere quel misto di pudore e di afasia nel manifestare un argomentato dissenso di molti fra coloro che, a destra, hanno a che fare con la cultura.

Quanto all’Alleato, la sua apparente forza di oggi, peraltro venata di insofferenza e minata, alla lunga, dalla sua stessa struttura monocratica, c’è sì un dovere di lealtà, ma come aspettarsene un aiuto determinante, in chiave di recupero di un orgoglio identitario?

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da ghorio il 21/04/2013 23:10:36

    Pur non essendo un militante di partiti di destra, ho sempre guardato con simpatia a quest'area per motivi legati alla mia formazione culturale. In particolare sin dalla giovane età mi sono "cibato" di quotidiani gravitanti in quest'area. Non ho letto molto di Adriano Romualdi, e non sapevo che fosse stato assistente di De Felice, ma mi aveva colpito mloto l'incidente nel quale aveva perso la vita , in età giovanile. Del Ninno nel suo ricordo evidenzia una situazione reale sull'autolesionismo del ceto politico di destra che ha sempre boicottato la cultura. La regola vale anche per la stampa di area che si dimentica spesso di ricordare anniversari di scrittori ed intellettuali di area. Pronta invece a ricordare scrittori o giornalisti dell'area opposta. Questo editoriale dovrebbe far meditare ma ho la sensazione che tutto rimarrà come prima.

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