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​La nuova Cina

Se il libretto rosso di Mao viene sostituito da L'ancièn régime et la révolution di Toqueville

Wang Qishan, vice premier e leader della Commissione centrale per il controllo della disciplina, ha imposto a tutti i medi-dirigenti del partito di leggere accuratamente il saggio del pensatore francese

di Tommaso Luigi Bedini

Se il libretto rosso di Mao viene sostituito da L'ancièn régime et la révolution di Toqueville

Alexis de Toqueville e Wang Qishan

Quando si pensa alla Cina il primo pensiero che ci viene in mente -oltre alla Grande Muraglia, il cibo cinese, i fuochi d'artificio-  è uno sterminato Paese, una potenza economica governata da un pugno di oligarchi del partito comunista che asservisce la popolazione per loschi e imprecisati scopi.

Stupirà quindi l'occidentale “medio”, apprendere che il libro più venduto in Cina negli ultimi tempi sia “L'ancièn régime et la révolution” di Alexis de Toqueville, ma lo stupore non finisce qui: Wang Qishan, uno dei sette massimi dirigenti del partito comunista cinese, vice premier e leader della Commissione centrale per il controllo della disciplina, ha imposto a tutti i medi-dirigenti del partito di leggere accuratamente proprio il saggio di Toqueville. Ma chi è questo oligarca “impazzito”?

Wang Qishan è un signore di 64 anni laureato in Storia alla Northwest University of China, membro del Comitato permanente dell'Ufficio politico del Comitato Centrale del PCC e vice-Premier del Consiglio di Stato. È anche uno dei maggiori economisti della Cina, tanto da essere candidato come Governatore della Banca Centrale (ebbene sì, in Cina è possibile anche con una laurea in storia, non importa essere bocconiani).

Allora perché uno dei capi comunisti del Paese impone di leggere un saggio di uno dei più grandi studiosi del pensiero liberale occidentale? È un'altra delle contraddizioni cinesi, come quella di essere un Paese comunista e liberista allo stesso tempo?

Ebbene, la risposta sembra essere molto semplice: è un governante che, presa coscienza dei radicali mutamenti che stanno avvenendo nel suo Paese (chiuso per millenni in se stesso tanto da aver costruito un muro lungo 2000 chilometri che tenesse lontano il resto del mondo) lancia un monito a tutti quanti: “o si cambia o si muore”.

Negli ultimi anni, infatti, la Cina ha dovuto aprirsi proprio a quel mondo che ha cercato di tenere fuori dei propri confini e di questa apertura ne hanno risentito soprattutto le nuove generazioni, che hanno cominciato a interessarsi di argomenti strettamente controllati e anche censurati dal regime (vedi questione del Tibet, sviluppo sostenibile, inquinamento etc.).

I giovani infatti, più sensibili ai cambiamenti, hanno dato vita a un social network in stile twitter, di nome Weibo, il quale, nonostante la barriera della lingua (Weibo infatti è in lingua cinese), registra centinaia di migliaia di follower, tre o quattro volte quelli di twitter e sfugge alla censura dei media imposta dal regime.

Tutto questo sta dando vita a rapidi e profondi cambiamenti nella società cinese, che stanno mettendo in crisi il Governo, tanto che Pechino ha dovuto iniziare a occuparsi proprio di sviluppo sostenibile e rendere pubblici i dati sul tasso di smog nelle metropoli del Paese.

Ecco allora che entra in gioco il nostro Wang Qishan col suo nuovo “libretto rosso” firmato Toqueville, non per evitare improbabili spargimenti di sangue alla Robespierre, ma per far fronte alle richieste, sempre più pressanti, di un popolo che ha cominciato a godere di un certo livello di benessere e che adesso vuole diventare protagonista attivo del proprio destino.

Toqueville, infatti, deplorava la rivoluzione francese, in quanto portatrice di massacri e di terrore, ma elogiava quella americana perché foriera di libertà civile e politica; criticava la democrazia quando essa corrispondeva a individualismo, ma asseriva che proprio la democrazia è il modello a cui tendono gli individui e le società, un'occasione di emancipazione e parificazione sociale riassumibile nel concetto secondo cui: “tutti partono dallo stesso livello senza privilegi di nascita”; si scagliava duramente contro quel ceto che lui definiva “parassitario”, ovvero la nobiltà della quale egli stesso faceva parte, che era sterilmente avvinghiato al resto della società civile e che traeva e pretendeva benefici dalla classe media borghese senza muovere un dito.

Tutto questo ci riconduce nuovamente a Wang Qishan, scelto dal partito proprio per estirpare quegli esponenti parassiti di una classe politica definibile come oligarchica e quale monito migliore, se non  un libro che racconta la tremenda fine fatta da quella stessa classe in Francia trecento anni prima.

Ci stupisce, quindi, che sia proprio la Cina a darci lezioni su come venire incontro alle esigenze di un Paese intero, su come educare una classe dirigente in modo che possa essere sempre pronta a far fronte ai profondi cambiamenti in atto nella società, non secondo il principio gattopardesco secondo cui “tutto cambia perché tutto resti uguale”, ma per un vero e proprio impegno a far si che le cose migliorino, per ampliare le prospettive di benessere di ogni cittadino.

Mentre in Italia i nostri politici cercano a tutti i costi di salvare le banche (sacrificando sull'altare della salvezza il benessere dei cittadini), nella Cina comunista di Mao i dirigenti studiano Toqueville e guardano al futuro.

 

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