Editoriale

Le tasche (vuote) degli elettori sfruttate per ottenere il consenso senza proporre vere riforme

Come sempre conta il qui e l'ora, nessuno pensa veramente al futuro e così ci condannano alla ripetizione di un presente miserabile

Giuseppe del Ninno

di Giuseppe del Ninno

l cantiere delle elezioni è in pieno fermento, anche con il suo “indotto” mediatico e giudiziario (una dannazione, quest’ultima, pressoché esclusiva del nostro paese, che si nutre di sospetti, particolarmente in materia di “giustizia a orologeria”).

Dunque, ci apprestiamo a scegliere i nuovi governanti, stavolta da un mazzo molto più ricco di sigle, simboli e movimenti. Almeno, questa è l’ingenua intenzione dell’elettore, sulla scorta di convinzioni suffragate dall’ormai consolidato approccio bipolare, con tutti i suoi limiti e carenze: che sia il Popolo Sovrano a esercitare le sue prerogative di delega del potere.

Qui è lecito avanzare qualche dubbio in proposito: tra le pressioni delle Istituzioni sovranazionali e le congiure di Palazzo, sarà difficile che il prossimo Governo possa avere tutti i crismi della più genuina rappresentatività democratica. Per ora, tuttavia, non è su questo punto che vogliamo richiamare l’attenzione dei lettori di Totalità.

Immaginiamo che al centro dell’imminente tornata elettorale – nazionale e locale – sia davvero non soltanto l’interesse comune dei cittadini, ma una serie di progetti alternativi di civile convivenza e di avvenire condiviso, fra i quali scegliere, designando i migliori delegati alle funzioni di legislatori e di governanti e amministratori, nella massima coerenza, lealtà e decoro, come pure prescrive la Costituzione.

Ebbene, ad oggi, mentre non tutte le liste di candidati sono state varate e rese pubbliche (e già le corrispondenti lotte intestine e perlopiù sotterranee finiscono con l’appannare la democrazia), in materia di programmi e, dunque, di modelli di società proposti dai vari soggetti in campo, c’è ancora molta confusione.

Certo, qualcuno ha “messo in rete” dichiarazioni d’intenti più o meno esaurienti e articolate, ma quello che colpisce – e convince – l’elettore “medio” sembra ancora essere il messaggio televisivo, e qui, dobbiamo riconoscerlo, non sono tanto la “pancia”  o l’appartenenza, quanto “le tasche” a contrassegnare il criterio dominante, l’argomento cruciale di chi si propone e di chi è chiamato a scegliere.

E’ vero, hanno fatto e faranno scalpore dibattiti che hanno a che fare con uno dei connotati caratterizzanti le democrazie, vale a dire la tutela delle minoranze: penso alla questione della regolamentazione delle unioni di fatto (specie quelle omosessuali) e alla querelle carceraria, da sempre cavallo di battaglia di Pannella e della sua pattuglia di fedelissimi. Le ricette possono essere le più disparate, segnalandosi fra l’altro come rivelatrici di una più ampia visione del mondo; tuttavia, i problemi in grado di coinvolgere le passioni dei più sono altri, e attengono, appunto, ai diversi modelli alternativi di società e di futuro.

Proprio del futuro, del nostro futuro di nazione, si parla poco o niente, in questa campagna elettorale, nervosa come poche altre e con un carico di incertezza che investe non tanto la figura del vincitore – ammesso che ce ne sia una soltanto – quanto la sua capacità e la stessa possibilità di costruire le alleanze omogenee indispensabili per avviare progetti di ampio respiro. Insomma, continuiamo ad essere condizionati dall’emergenza economica, generatrice unicamente di provvedimenti-tampone e di ricette settoriali, all’insegna del piccolo cabotaggio: ridurre o rimodulare l’IMU, introdurre o meno la “patrimoniale”, detassare questa o quella attività, incrementare i consumi… Alzate d’ingegno demagogico, spesso contrapposte a dichiarazioni generiche e roboanti non meno demagogiche: ripristinare la legalità, valorizzare l’onestà, bandire i professionisti della politica. Aria fritta.

Nessuno ci parla in termini di concretezza di politica industriale ed energetica, di sostegno alla famiglia (qualcuno si ricorda del consolidato calo demografico?), di riassetto del territorio da conciliare con uno sviluppo sostenibile, di riforme della scuola, della giustizia, della pubblica amministrazione, di proposte di modifica della costituzione europea e di quella nazionale. Tutti argomenti di lunga lena, si dice, da posporre alle esigenze dell’immediato. Ma è proprio questo aspetto che distingue il politicante dallo statista: saper guardare lontano, alle generazioni future, invece di perdersi dietro alle questioni di bottega del presente, in ogni caso da inquadrare in una cornice più ampia e nobile.

Giorni fa, sul “Giornale”, Marcello Veneziani provava a disegnare le nuove contrapposizioni di fatto, tra i soggetti destinati ad animare la scena politica mondiale:

«Oggi l'alternativa non è più interna alla politica, come non è interna alla società e alla religione, ma ne investe i fondamenti: l'antagonismo è tra chi reputa la politica come il luogo sovrano delle decisioni nel nome di interessi generali e valori diffusi, divisi e condivisi, e chi invece ritiene che non spetti più alla politica il ruolo sovrano di sintesi e decisione, ma alla tecnica nel nome dei mercati. Oggi il nemico, per dirla nel linguaggio schmittiano, o l'avversario, per dirla nel gergo liberal-democratico, non è più la destra o la sinistra, ma è l'apparato tecno-finanziario»

Mi pare un’impostazione da condividere, in grado di rimescolare le carte e di conferire spessore al dibattito politico. E se è vero che per partire da un nuovo inizio occorre percorrere fino in fondo il cammino del vecchio ciclo, è sotto gli occhi di tutti come la galassia denominata “destra” sia, da questo punto di vista, davanti a tutti: il frazionismo, il personalismo – per di più praticato da soggetti di basso profilo - l’afasia in tema di progettualità – rilevati proprio in queste pagine, da ultimo, da Mario Bozzi Sentieri - ci dicono che il punto zero è vicino. Per la “destra” e per la nostra patria, in cerca - ci vogliono far credere - di una credibilità internazionale fondata soltanto sulle risposte effimere dei Mercati. Difficilmente una consultazione elettorale sarà in grado di avviare un duraturo processo di risanamento, che dovrà essere culturale e politico, ancor prima che economico e finanziario.

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