Editoriale

La politica in sala d'attesa. Berlusconi non decide, Bersani si illude, Grillo pasticcia

Fini e Casini vedono ridurre il già magro consenso, Montezemolo fa il vago, Renzi sta alla finestra

Giovanni F.  Accolla

di Giovanni F.  Accolla

umata nera al vertice del Pdl sul futuro del partito. Raccontano che la riunione-fiume a palazzo Grazioli, dedicata alla riforma elettorale e all'election day, non abbia sciolto i nodi sul tavolo. Silvio Berlusconi non avrebbe ancora deciso se scendere in campo come candidato alla premiership e se lanciare la nuova Forza Italia. Ma sarebbe intenzionato a tenere il punto sull'accorpamento delle elezioni regionali con le politiche per il 10 febbraio. Al termine dell'incontro il Cavaliere e Angelino Alfano avrebbero deciso di riaggiornarsi a breve, quando si saprà qualcosa di più certo sulla riforma elettorale ed è atteso al Consiglio dei ministri il decreto sull'incandidabilità.

Ancora un rinvio, dunque, ed è difficile interpretare il silenzio.

Toccare il fondo (sperando che ci sia) per risalire. Forse è questa la strategia di Silvio Berlusconi mentre il centro destra si interroga sul da farsi e, sostanzialmente, molti dei suoi esponenti si muovono sul posto lanciando iniziative in linea teorica (più o meno efficaci per ipotecare la spendibilità del proprio futuro), confabulando in cene a base di pesce e rancori, o interpretando il pensiero dell’unico autentico capo (checché se ne dica) o facendo a gara tra chi ha notizie più dettagliate e di prima mano, sui suoi futuri intendimenti.

Di fatto, era circa una settimana che Berlusconi non parlava con quasi nessuno. Al telefono non rispondeva più neanche al gruppo delle fedelissime e a quello degli amici della prima ora. Tra la villa di Arcore e palazzo Grazioli a Roma, si vive ora in un’apparente calma piatta in attesa degli eventi. Ma è tutto un ragionare, un fare e disfare: la legge elettorale, le date per le regionali, decreto incandidabilità, le mosse della sinistra post primarie e il quadro delle alleanze che da quella parte si vanno a prospettare, sono tutti elementi di riflessione che determinano l’attesa.

A ben vedere, se si esclude Bersani che con molta benevolenza verso sé stesso già si vede a palazzo Chigi e quindi si atteggia (mi sapete dire che c’è andato a fare in Libia?) a presidente designato, mentre qualcuno gli dovrebbe spiegare che ha vinto le primarie con un’affluenza minore di quella che videro trionfare Prodi e che, al momento, Renzi è indisponibile all’appoggio incondizionato; nessun vero leader ha per davvero deciso nulla di definitivo.

Al centro, Casini e Fini, di fatto, fanno la solita melina e Montezemolo è ancora ben lungi da aver preso veri impegni, Riccardi si muove nel suo alveo naturale senza spendersi più di tanto, e i vari ministri tecnici con aspirazioni politiche, Passera in primis, sono ancora nella fase del timido annuncio. Anche qui, dunque, i protagonisti (o i candidati ad esserlo) sono tutti nella sala d’aspetto. Solo che lo studio è quello di Monti. A ridosso delle vacanze di Natale (si mormora) il premier dovrebbe decidere cosa fare del suo destino politico. Scendere in campo in prima persona sembra improbabile, ma ancora non può essere escluso. E in tal caso il suo impegno in prima persona potrebbe riservare uno smottamento non da poco tanto nel Pdl che nel Pd.

E, personalmente, sono convitto che anche Renzi sia ancora a bordo campo, in attesa di tesaurizzare al massimo il suo quaranta per cento di investitura politica. Ma anche in quest’area - come è evidente -  si attende il responso delle Camere sulla legge elettorale.

Anche altri esponenti politici o aspiranti tali, in fin dei conti, ancora tergiversano sulla soglia: Di Pietro, Ingroia, De Magistris che faranno? Vendola non vuole che nessuno nella scena politica lo superi a sinistra. Correranno da soli, o faranno in qualche modo da sponda al movimento di Grillo?

 

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