Sindrome di Proust

Grazie alla «Recherche» gli scienziati hanno scoperto l'effettivo legame fra memoria e gusto

Si potrà recuperare la memoria perduta grazie a quella dei sapori che rimane indelebile, e allora impariamo a fare la famosa madeleine

di Marina Cepeda Fuentes

Grazie alla «Recherche» gli scienziati hanno scoperto l'effettivo legame fra memoria e gusto

Il 18 novembre 1922, novant’anni fa, moriva a Parigi Valentin Louis Georges Eugène Marcel Proust, l’autore del celebre romanzo À la recherche du temps perdu, uno dei massimi capolavori della letteratura universale, tradotto  in Italia con il titolo Alla ricerca del tempo perduto, in cui l’autore indaga, ricerca, appunto, sulla memoria di  un tempo passato per renderlo tempo presente.

Marcel Proust lo  scrisse tra il 1909 e il 1922 e fu  pubblicato a poco a poco  in sette volumi, con titoli diversi,  fino  al 1927 con una forzata pausa negli anni della Prima  Guerra mondiale: La strada di Swann nel 1913;  All'ombra delle fanciulle in fiore nel 1919; I Guermantes nel 1920;  Sodoma e Gomorra fra il 1921 e il 1922; La prigioniera nel 1923; La fuggitiva ossia “Albertine scomparsa” nel 1927, lo stesso anno in cui fu pubblicato l’ultimo volume della ponderosa opera, Il tempo ritrovato.

In Italia questa monumentale opera letteraria che, secondo il Guinness dei Primati, è considerata “il romanzo più lungo del mondo” con circa 9.609.000 caratteri, scritti in 3.724 pagine, fu pubblicata per la prima volta nel 1950 dalla casa  editrice torinese Einaudi che incaricò la traduzione un  gruppo di notevoli scrittori: Natalia Ginzburg, Franco Calamandrei, Nicoletta Neri, Mario Bonfantini, Elena Giolitti, Paolo Serini, Franco Fortini e il grande poeta, fra i massimi del Novecento,  Giorgio Caproni, di cui si celebra quest’anno il centenario della sua nascita, che tradusse l’ultimo volume dell’opera, Le Temps Retrouvé.

Quanto al primo volume, Du côté de chez Swann, rifiutato in Francia da diversi editori e che, infine, sarà pubblicato dall’editore Bernard Grasset a spese dell’autore il 14 novembre 1913, venne tradotto dalla scrittrice   Natalia Ginzburg, che all’epoca era una trentenne vincitrice del premio letterario “Tempo” con il suo secondo romanzo intitolato È stato così.

Certamente i molti editori che, inizialmente, si rifiutarono di pubblicare la Recherche proustiana, non potevano immaginare il successo della monumentale opera e tanto meno il fatto che l’umile dolcetto – una madeleine – che appare nella prima parte del primo volume, in cui il narratore, lo stesso Proust, rievoca la sua infanzia nel villaggio di Combray, sarebbe  diventato una sorta di archetipo della memoria olfattiva e gustativa. Fino al punto da far battezzare con il nome di “Sindrome di Proust” il collegamento, ormai  provato scientificamente, fra gli odori, i sapori e la memoria.

La notizia è di questi giorni e ne scrive con dovizia di dettagli  l’inviato a Parigi del «Corriere deal Sera» Ruggiero Corcella, il quale racconta in un articolo apparso il passato 11 novembre, di come, da alcuni anni, l’Unità di Riabilitazione neurologica dell’ospedale Raymond Poincaré di Garches, nei pressi di Parigi, sta sperimentando l’utilizzo dell’olfattoterapia come coadiuvante nella cura in caso di perdita di memoria. L’idea era venuta al Dott. Bernard Bussel, direttore del suddetto ospedale, ora in pensione, mentre studiava il caso di un paziente uscito dal coma. Secondo il celebre neurologo francese, infatti, l’olfatto  è il mezzo più adeguato per suscitare i ricordi che i pazienti non possono raggiungere tramite le immagini o il linguaggio, perché più collegato alla sfera emozionale.

In Italia lo si sta sperimentando all’ospedale San Giovanni Bosco di Torino perché, come spiega uno degli otorinolaringoiatra del nosocomio torinese,  Fabio Beatrice, “Le memorie olfattive non svaniscono mai e la loro forza dipende dall’importanza che ha avuto la situazione in cui l’odore è stato percepito”.

Personalmente sono pienamente convinta che anche i sapori abbiano la stessa funzione. Ho potuto costatare negli ultimi quarant’anni, tanti sono gli anni finora trascorsi in Italia, che ogni volta, quando  torno al mio Paese d’origine, e faccio una passeggiata nel vecchio quartiere di nascita, Triana, non desidero soltanto rivedere il bel ponte sul fiume Guadalquivir, la piazzetta dove giocavo da bambina o la scuola della mia infanzia, quanto poter sentire sapori e odori. Quelli ad esempio, dei dolci appena sfornati nelle panetterie,  o di alcuni nostri piatti tipici serviti nei numerosi bar della zona da dove fuoriescono dei  profumi  meravigliosi: sono le mie “madeleines di Proust”.

 Dei sapori e degli odori “che risvegliano la memoria” scrive infatti  Marcel Proust nel suo primo volume, La strada di Swann, nella traduzione di  Natalia Ginzburg:

«Ma quando niente sussiste d’un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l’edificio immenso del ricordo» .

Insomma, gli odori parlano. Ed è anche questo che all’ospedale parigino di Garches si cerca di insegnare ai pazienti: a recuperare il linguaggio attraverso gli odori, che restano un terreno di ricerca molto promettente e ancora da esplorare pienamente. Come affermano Linda Buck e Richard Axel, Premi Nobel per la Medicina e la Fisiologia nel 2004 per i loro studi sui geni implicati nel controllo dell’olfatto, “l’odorato e il sistema olfattivo costituiscono un enigma meraviglioso e senza fine”.

A questo punto vale la pena rileggere il brano della Recherche in cui Marcel Proust, grazie non solo all’odore, ma soprattutto  al sapore della celebre “madeleine”, recupera la memoria dettagliata della sua infanzia trascorsa a Combray, e delle persone e cose e paesaggi, che gli stavano attorno:  la zia Léonie, la gente del villaggio, la vecchia casa grigia sulla strada, il giardino, le vie, le escursioni quotidiane, il parco della famiglia Swann:

«[...] in una giornata d’inverno, rientrando a casa, mia madre, vedendomi infreddolito, mi propose di prendere, contrariamente alla mia abitudine, un po’ di tè. Rifiutai dapprima, e poi, non so perché, mutai d’avviso. Ella mandò a prendere uno di quei biscotti pienotti e corti chiamati Petites Madeleines, che paiono aver avuto come stampo la valva scanalata d’una conchiglia di San Giacomo. Ed ecco macchinalmente oppresso dalla giornata grigia e dalla previsione d’un triste domani, portai alle labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato un pezzetto di Madeleine. Ma, nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di biscotto toccò il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di straordinario. Un piacere delizioso m’aveva invaso, isolato, senza nozione della sua causa. [...]Da dove era potuta giungermi una gioia così potente? Sentivo che era legata al sapore del tè e del dolce, ma lo superava infinitamente, non doveva condividerne la natura. Da dove veniva? Bevo una seconda sorsata nella quale non trovo nulla di più che nella prima, una terza che mi dà un po’ meno della seconda. E’ tempo che mi fermi, la virtù del filtro sembra diminuire. E’ chiaro che la verità che cerco non è lì dentro, ma in me [...].

E poi Proust continua interrogandosi su quel che aveva provato mangiando la madeleine finché recupera il “tempo perduto” della sua infanzia:

«[...]E ad un tratto il ricordo m’è apparso. Quel sapore era quello del pezzetto di «madeleine» che la domenica mattina a Combray (giacché quel giorno non uscivo prima della messa), quando andavo a salutarla nella sua camera, la zia Léonie mi offriva dopo averlo bagnato nel suo infuso di tè o di tiglio.

La vista della focaccia, prima d’assaggiarla, non m’aveva ricordato niente; forse perché, avendone viste spesso, senza mangiarle, sui vassoi dei pasticcieri, la loro immagine aveva lasciato quei giorni di Combray per unirsi ad altri giorni più recenti; forse perché di quei ricordi così a lungo abbandonati fuori della memoria, niente sopravviveva, tutto s’era disgregato; le forme – anche quella della conchiglietta di pasta – così grassamente sensuale sotto la sua veste a pieghe severa e devota – erano abolite, o, sonnacchiose, avevano perduto la forza d’espansione che avrebbe loro permesso di raggiungere la coscienza  [...]».

La grande intuizione dello scrittore parigino fu, dunque, capire che l’olfatto e il gusto hanno un ruolo fondamentale per la memoria e per il recupero dei ricordi: Proust percepì  questa relazione tra sensi e cervello e sfruttò il sapore del dolce e il profumo del tè per ritornare alla sua infanzia. Guardare il pasticcino non era sufficiente e solo quando  il pezzetto di madeleine  gli si scioglie sulla lingua, si accesero dei neuroni che, come hanno dimostrato gli studi scientifici sul tema, sulla scia del gusto e dell’olfatto, comunicano “attraverso la forza delle sinapsi, con altri neuroni”: quelli che codificavano, nella memoria di Proust, la città di Combray e il viso di zia Léonie.

Da quella piccola  madeleine imbevuta in una profumata tazza di  tè si è arrivati dunque alla scoperta di un “prione” che renderebbe i nostri ricordi malleabili, plastici, per cui  il nostro passato sarebbe  eterno ed effimero al tempo stesso.

E ora dunque, per commemorare  l’anniversario della morte di  Marcel Proust quel 18 novembre 1922, ecco la ricetta delle piccole e burrose “madeleine” proustiane. Potremmo oggi, far merenda degustandole lentamente, per festeggiare  la meravigliosa intuizione dell’autore della “Recherche” sul potere dei sapori e degli  odori sulla nostra percezione della memoria e del tempo, che non sono immobili bensì dilatati all’infinito: come i celebri  “orologi molli” di Salvador Dalì.

 

RICETTA DELLE MADELEINES DI MARCEL PROUST

 

Ingredienti per circa 15 madeleine:

 

- 120 gr farina

- 100 gr burro

- 2 uova

- 120 gr di zucchero a velo

- 5 gr di lievito per dolci

- aroma di mandorla

- scorza di limone grattugiata

- stampo a conchiglia per madeleines, ma in loro mancanza, e sebbene non siano “proustiane”, vanno bene anche i piccoli stampini per brioche.

 

Sciogliere lentamente il burro a fuoco basso, aggiungere le gocce di aroma, mescolare e lasciare intiepidire.

In un recipiente unire le uova con lo zucchero a velo e mescolare bene fino a ottenere un composto liscio e anche  spumoso.

Aggiungere, a poco a poco, la farina e il lievito, ben  mescolati e setacciati, e continuare a girare il tutto per  amalgamare bene l’impasto. Aggiungere infine anche il burro fuso e mescolare ancora. Quando tutto il composto sarà diventato molto liscio e morbido, aggiungete la scorza di limone grattugiata.

Quindi, coprire con la pellicola trasparente e farlo raffreddare in frigorifero per almeno un’ora. Dopodiché riempire, per circa 2/3, gli stampini precedentemente imburrati e infarinati leggermente. Poi   infornare quando il forno abbia raggiunto i 220°C. per circa 5 minuti e, appena le madeleines si gonfieranno, abbassare la temperatura a 180°C, continuando la cottura finché saranno dorate.

Si possono degustare fredde o leggermente tiepide, con un tè, con un infus, con al cioccolata calda, in qualsiasi modo. L’importante è riuscire a fermare nel nostro cervello quel momento gustativo e olfattivo magico.  A futura memoria.

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