Il Discorso del Re, uno spettacolo regale

Un discorso travolgente

In scena sino al' 11 novembre, ha convinto e persino commosso il pubblico fiorentino del teatro della Pergola

di Domenico Del Nero

Un discorso travolgente

Luca Barbareschi

Uno spettacolo davvero regale. Il discorso del re di David Seidler, in scena sino a domenica 11 novembre,  ha convinto e persino commosso  il pubblico fiorentino del teatro della Pergola, che per la seconda volta consecutiva ha avuto la netta sensazione di trovarsi difronte al “suo” teatro, ovvero uno dei primi teatri di prosa italiani. In questo periodo di profonda crisi della cultura e soprattutto delle istituzioni culturali quella di promuovere spettacoli di altissima qualità è sicuramente la miglior risposta e – si spera – anche un monito per quelle istituzioni che quando c’è da tagliare partono sempre da tutto ciò che è culturale. 

Bravissimo Luca Barbareschi, nella doppia veste di attore e di regista: una messa in scena che rendeva perfettamente il clima degli anni 30, con brevi ma efficaci spezzoni di filmati originali, tra cui quelli di un paio di discorsi di Hitler che mettevano  in luce le doti oratorie del Fuhrer, in perfetta antitesi alla timidezza balbuziente di “Bertie”,duca di York e suo malgrado re dopo l’abdicazione del fratello. Molto belle e efficaci le scene di Massimiliano Nocente, che alternavano il modesto studio del logopedista australiano Lionel Logue con “squarci regali “ di Buckingham  Palace  e sacri di Westminster; il tutto senza stravaganze o eccessi “barocchi”. Ottimo anche il gioco delle luci, che evocavano un clima grigio e pesante quale era appunto quello degli anni immediatamente precedenti il secondo conflitto mondiale. Ma straordinaria la bravura dei due protagonisti: il Lionel di barbareschi e il “Bertie”, poi Giorgio VI d’Inghilterra,  di Filippo Dini: un attore fallito che si improvvisa (con capacità e successo)  logopedista  e un principe dall’infanzia tormentata che è afflitto da una balbuzie  che dispera di poter distruggere. Una storia vera con uno sfondo rigorosamente storico, ma in cui la bravura di Seidler è stata quella di scavare in modo eccezionale nei caratteri dei personaggi; un testo, come ha detto lo stesso Barbareschi, costruito su due livelli storici: la piccola storia e la grande storia, con la esse maiuscola. “ Nello spettacolo queste due direzioni si intrecciano;  man mano che ci affezioniamo alla storia di Bertie e del suo logopedista Lionel incombono le figure di Hilter, di Stalin.Gli avvenimento della seconda guerra mondiale si avvicinano sempre più e raggiungono  la piccola storia costituita dall’incapacità di Bertie  di esprimersi con chiarezza”. E’ questo infatti che rende questo spettacolo particolarmente avvincente e affascinante, il sapere che quella “piccola storia” è stata parte non secondaria di un grande e terribile capitolo della storia dell’umanità. E Giorgio VI,  malgrado i suoi limiti e le sue incertezze, ha saputo vincere una importante battaglia con se stesso ed essere un monarca molto migliore di quanto tutti pensassero; in definitiva, un grande re, come dice Lionel.

Barbareschi e Dini sono stati semplicemente straordinari nel mettere in risalto le caratteristiche dei loro personaggi: lo squinternato e sognatore Lionel, fiducioso nei valori della parola e dell’umanità e il principe Bertie, prigioniero di un ruolo regale in cui si sente a disagio ma nello stesso tempo consapevole sino in fondo del suo ruolo e dei suoi doveri: se come gli dice Lionel in fondo anche il re è un attore, Bertie è ben deciso a non fare la figura del guitto e ci riuscirà brillantemente alla fine del dramma, parlando al suo popolo con una determinazione e un patos che nessuno si aspettava.  E malgrado le figure dei protagonisti dominino la scena, alcuni comprimari non sono stati da meno; anzitutto le donne, con una volitiva e determinata Astrid Meloni nei panni di Elisabeth, moglie di Bertie, destinata nella realtà a diventare la straordinaria “queen mother “  vissuta fino a centodue anni.  Notevole anche il cinico e spiritoso Winston Churchill di Ruggero Cara e il viscido e intrigante arcivescovo di Caterbury di Roberto Mantovani.  

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