Anniversari. 40 anni dopo

Liberate il "soldato" Ezra Pound dalla redenzione post-ideologica

Non sempre si può scindere l'uomo dall'opera, le sue idee dalla sua estetica, l'appartenenza politica dalla poesia

di Mario  Bozzi Sentieri

Liberate il

In vista del prossimo 1°  novembre, quarantesimo anniversario della scomparsa di Ezra Pound,  prepariamoci alle immancabili polemiche sulla sua collocazione politica e sul suo rapporto con il fascismo.  Le prime avvisaglie si sono viste, venerdì scorso,  su  “la Repubblica”, nel paginone dedicato al rapporto tra la figlia Mary de Rachewiltz ed il poeta. L’interpretazione familiare-intimistica, l’imbarazzo per gli orientamenti politici dell’autore dei Cantos, il richiamo, già nel titolo, alla politica che “sfrutta ingiustamente il nome di mio padre”, la dicono lunga sui tentativi “revisionistici” di certa critica, impegnata a scindere l’ideologia dall’opera.

Se è indubbio che un poeta della grandezza di Pound vada riconsegnato alla complessità del suo percorso e della sua creazione poetica, non si può non dire che egli è comunque anche nel suo impegno politico, del quale è intessuta non solo la sua poesia e la sua  saggistica.

Che la  vita di Pound sia stata segnata dall’adesione al fascismo, un’adesione innanzitutto culturale, ancor prima che politica, è un fatto incontestabile. E lo è tanto di più in quanto il suo percorso intellettuale, precedente alla stessa nascita del fascismo in Italia, lo colloca all’interno di  quel  filone culturale “terzista”, operante in Gran Bretagna, intorno alla rivista “The New Age”, diretta da Alfred R. Orage, critico sia nei confronti del marxismo che del capitalismo.

L’impegno di Pound nasce da questa “visione alternativa”, che – come molti altri intellettuali del primo Novecento – egli vide nel fascismo e che lo portò ad ammirare l’Italia e Mussolini.

Certamente lo fece a suo modo, con la sua sensibilità, ma anche con il suo radicalismo culturale, coniugando poesia ed impegno politico-sociale, in particolare sui grandi temi della finanza, dell’usura, del denaro (al punto da vedere pubblicate, nel 1937,  dalla paludata rivista “Rassegna monetaria”,   le sue tesi sull’economia ortologica), costruendo affinità inusuali, come quella tra Jefferson e Mussolini, fino a  recuperare l’essenza della sua americanità nell’Italia del Ventennio.

L’adesione di Pound al fascismo ci fu dunque ed è un’operazione anticulturale negarlo. Fu un’adesione non formale,  ma vissuta, interiorizzata, al punto che, nel 1940, allo scoppio della guerra, quando il poeta avrebbe potuto abbandonare l’Italia per ritornare in America o trovare rifugio in qualche Paese neutrale, egli restò, impegnandosi direttamente nella propaganda dalla Radio, con il programma in lingua inglese “Europe calling, Ezra Pound speaking”, attraverso il quale accusava gli angloamericani e la finanza internazionale di avere voluto la guerra contro i  popoli dell’antiusura.

Il suo impegno non venne meno durante la Repubblica Sociale Italiana, l’estrema ridotta del fascismo, durante la quale Pound intensificò i suoi interventi giornalistici. 

Per tutto questo pagò con la dura reclusione in un campo di prigionia presso Pisa, dove scrisse gli undici Canti pisani (ed il primo pensiero va a Ben e a Clara appesi “per i calcagni a Milano”), e l’internamento in un ospedale psichiatrico statunitense, dove rimase fino al maggio 1958.

Tutte queste vicende, i drammi, le speranze, le illusioni spezzate di quegli anni, che tanta parte hanno nelle sue opere, possono essere risolte, come tenta di fare certa critica imbarazzata,  nel non dar luogo a procedere per manifesta incapacità politica non solo di Pound ma di larga parte della cultura del Novecento?

Parlando recentemente di Giuseppe Terragni, architetto d’avanguardia, fedelissimo al fascismo, Marco Vallora ha scritto (su “La Stampa”): “La storiografia di sinistra (Bruno Zevi in testa) ha cercato di scindere l’ideologia dall’opera. Ma è lo stesso problema irresolubile di Céline e di Benn, di Drieu e di Pound, di Derain e di Sironi, della Riefensthal e di Heidegger”. 

E’ legittima questa “scissione” ? E per Pound non si rischia, in questo modo, di compiere un’operazione anticulturale, tutta rinchiusa in una visione estetizzante della sua opera  (geniale creativo) a scapito del contenuto dei Cantos e della sua più ampia produzione  letteraria e giornalistica di taglio politico-sociale ?

A quarant’anni dalla sua scomparsa, non si rinchiuda perciò Pound, per una seconda volta,  nella gabbia delle incomprensioni, della faziosità, della partigianeria.

Lasciatelo – signori critici -  finalmente libero di parlarci e di essere  ancora quello che è stato, un grande Poeta, un grande intellettuale, “impegnato” su un versante politicamente scorretto. Questo, può piacere o meno, è stato ed ancora è Ezra Pound.

Per tutto questo va letto e valutato.

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