Parla Valentuomo

Francesco Merlo, "il Venerdì di Repubblica" 30 aosto 2012 Conosco un tipo che, quando gli è nata la figlia, Alessia, 13 aprile 2002, si è fatto incidere addirittura sulla pancia che intanto, in dieci anni, è cresciuta più della sua bambina. Uomo cisposo e ruvido, sul braccio esibisce con fierezza due rose. La moglie ha il piercing all'ombelico e nella lingua. È ricco, ma il barman che gli serve l'aperitivo lo ha annichilito con un complicato disegno astratto sulla schiena: una copia del Flower Myth di Paul Klee. Perciò ora si confrontano e si rispettano: si trattano come poeti, come scultori o, almeno, come installatori d'arte su se stessi. E tuttavia sarebbe troppo facile cedere alla tentazione e liquidarli come vandali del proprio corpo che esprimono in forma vistosa e inequivocabile il cattivo umore, prima ancora del cattivo gusto, nazionale e bene illustrano la smania italiana di arrivare all'eccesso, come nelle commedie plebee. Di sicuro oggi ci sono più tatuati in Italia - anche tra i lettori di questo giornale - di quanti ce ne sono nelle marina inglese, ennesima conferma di quell'avanzata della linea della palma, di quel Meridione che conquista tutta la Penisola e rende sempre più napoletano il popolo italiano, sempre più estroverso ed espressionista e dunque anche volgare e tuttavia creativo e perciò sempre più tatuato. E difatti non si fanno tatuare soltanto i soliti italiani gesticolosi e rumorosi, quelli attorniati da bonazze rifatte, eccitati dal trovarsi al centro dell' attenzione, destare l'interesse, italianizzare e appropriarsi, come fecero già Alberto Sordi e Renato Carosone col mito dell'America, del codice antico e trasversale del tattoo che può essere occidentale od orientale, virtuoso e religioso o malavitoso e gotico, aristocratico o popolare, settario o individualista: navi e carceri, mondi primitivi e raffinatezze da body art. Cominciamo col dire che i corpi degli italiani non sono incisi e manipolati per nobiltà marinara né per appartenenza a qualche sottoproletariato industriale né tanto meno per eccentricità da artista, ma per narcisismo individualista e per conformismo. Spesso il tatuaggio è la chance che ha il poveraccio di sentirsi strafico. Anche se qualcuno prova pure il tatuaggio discreto che subito si rivela come un ossimoro perché il tatuaggio più è discreto e più è visibile, sostituisce il neo degli incipriati benché sia vero che da un danno piccolo si può uscire con una cicatrice piccola (da laser). Il più diffuso modello di riferimento rimane il semi vip, l'orrenda categoria antropologica dei presenzialisti e dei riccastri con la pancia a pera tatuata, sotto l'ombelico, come un cartone animato. Mezzi vip sono gli eroi televisivi del pomeriggio, le retrovie Rai, quelli degli aperitivi autorevoli fotografati nelle riviste di quartiere con un tricheco sul petto che fa molto Billionaire di Briatore, il covo della pacchianeria italiana. Alla fine, non potendo fare brum brum sulla Porsche e solcare il mare calmo con barche da 43 metri, il poveraccio si dà arie da strafico facendo un uso sgargiante di quel poco che ha, il proprio corpo appunto, sporcato e imbrattato, come i ponti e i muri d'Italia, con le proprie deiezioni sentimentali depositate sulle braccia e sulle gambe, come i graffiti che hanno stravolto il centro delle nostre città, come il turpiloquio inciso con i coltellini sulle vestigia di Pompei. Non dico che bisognerebbe vietare i tatuaggi, per carità: il corpo è sacro e il solo sovrano del corpo è l'individuo. La libertà personale è il valore al quale bisogna attenersi, sempre: sia nel caso estremo della morte assistita sia in quello della signora che vuole piercing nell'ombelico o sogna di rimodellarsi il seno. Il buon gusto non si può imporre per legge. Ma forse sarebbe opportuno vietare ai minori i tatuaggi, come vuole la nuova legge sulla chirurgia estetica, perché le decisioni irreversibili non siano troppo premature né esclusivamente affidate, come avviene adesso, all'autorizzazione dei genitori che spesso sono a loro volta tatuati, magari con la squadra della Roma sulla schiena o un'avventura di James Bond illustrata sul sedere, una bella croce sul braccio sinistro, uno squalo sul piede e un mitra sull'inguine. Quanti anni aveva Narciso quando morì d'amore per la propria immagine riflessa nell'acqua? Tutti capiscono che il narcisismo può essere amore di sé e cura di sé anche nella forma della chirurgia estetica o del tatuaggio, che però è spesso praticato da avidi e presunti Michelangelo che operano senza le necessarie precauzioni igieniche. E basta leggere le loro pubblicità che ormai dilagano su Internet, partecipare almeno una volta a qualche raduno di questi tatuatori, sfogliare i cataloghi dello loro mostruosità presentati come i cataloghi del Louvre. E non faccio nomi né esempi volutamente, ma anche la pubblicità del tatuaggio è una materia che dovrebbe esser regolata meglio, disciplinata, e non abbandonata ad un far west così bizzarro. L'adolescenza, del resto, può essere facilmente devastata dal conformismo. Meglio aspettare dunque che la persona sia capace di amare o, se volete, di odiare consapevolmente se stessa e dunque di capire cosa significa fare investimenti narcisistici sul proprio corpo, truccarlo, tatuarlo, manipolarlo senza ritorno. Intanto non è vero che «siamo tutti poeti e il corpo è la pagina su cui scrivere », ed è tempo di finirla con le considerazioni post moderniste dell'arte cafona, con la celebrazione degli immondezzai, delle sozzure, del sangue, della cacca, della bava, dei tatuaggi che non sono scorciatoie per il Parnaso fai-da-te e su-di-te, ma quasi sempre sconcezze e volgarità. Quest'anno le nostre spiagge sono simili alle orrende passerelle cafonal di Dagopsia, musi di gomma e seni di plastica, glutei esplosivi esaltati dai più astrusi e sguaiati tatuaggi di ogni genere e in ogni parte del corpo. Basta una passeggiata su un litorale affollato per capire che l'Italia è il Paese dei corpi manomessi, della presunta body art di massa, del falso come antidoto al veleno del vero; scorpioni sulla spalla e poi stelle, cerchi enigmatici, geometrie maori e funghi sui glutei, un joker sul braccio, una suora cinese su una gamba, Che Guevara sotto l'ombelico e i soliti cuori stilizzati e trafitti con dentro i visi degli innamorati, reticolati e fili spinati sul collo, tutti come Belen e la sua farfallina di cui Corona rivendica il copywriter, e le scritte d'amore o di lutto come quella incisa sul braccio della Gregoraci per la morte della mamma: «Senza di te non sarò più la stessa», e ovviamente in inglese. Il tatuaggio nel nostro povero Paese ha sostituito l'unghia lunga del dito mignolo, è uno sbuffo di prosopopea sociale, come le labbra che la chirurgia estetica rende grottescamente turgide, come i glutei arrotondati dalle protesi al silicone, come i nasi demoliti e ricostruiti con  Anche la perenne abbronzatura, isole e lampada è, a suo modo, una forma di tatuaggio, degenerazione del bisogno legittimo e sempre più diffuso di cambiare se stessi, come del resto palestrarsi, modellarsi i bicipiti o gonfiarsi il seno sino alla magnificenza più sguaiata e insolente. Conquistando la massa e incidendosi ormai nel Tricolore, il tatuaggio in Italia ha ovviamente perso tutti i suoi significati elitari, satanisti e devoti, esoterici e ornamentali, erotici e vezzosi, ed è diventato il segno definitivo della prevalenza del cafone.

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    2 commenti per questo articolo

  • Inserito da Arco Intimo il 26/09/2012 11:48:50

    E' un articolo brillante che va a segno. Ma contiene una spaventosa caduta di stile, la cartina di tornasole di una visceralità altrimenti non dichiarata: "...ennesima conferma di quell'avanzata della linea della palma, di quel Meridione che conquista tutta la Penisola e rende sempre più napoletano il popolo italiano...". Caro Direttore (o caro Valentuomo), non le sembra grave e massimalista, oltre che incolta, un'uscita del genere? Non le sembra che si scivoli in quella volgarità e piattezza da cui si vogliono prendere le distanze? Disgusta anche un napoletano non permaloso. Mi dirà che dovrei scriverlo direttamente all'autore, ma non leggo La Repubblica; e allora lo scrivo a lei che ha scelto e rimbalzato il pezzo: che ne pensa?

  • Inserito da Loredana il 07/09/2012 13:15:51

    Condivido ogni parola . Il tatuaggio in Italia è diventato sinonimo di sporco, mentre in altre parti del mondo è addirittura forma d'arte, rispettata e praticata con rispetto, soprattutto del corpo su cui si depositerà. Senza contare i mille significati di appartenenza ad un'etnia, o a una triade, su cui si può discutere all'infinito.

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