Volume collettaneo

Mario Pannunzio e il giornalismo moderno

Da «Risorgimento liberale» al «Mondo» la grande lezione imparata con Longanesi

di Alessandro  Bedini

Mario Pannunzio e il giornalismo moderno

Mario Pannunzio

Mario Pannunzio non è soltanto un personaggio che ha fatto la storia del giornalismo italiano, è stato una figura di intellettuale e organizzatore culturale unica nel suo genere, che ha attraversato le fasi cruciali del Novecento ponendosi il più delle volte controcorrente rispetto alle famiglie politico-culturali dominanti. Critico verso il fascismo quando era regime, poi nei confronti del comunismo e della sua pretesa di egemonizzare “gramscianamente” la società civile, nel dopoguerra, infine dell’Italia democristiana e un po’ bigotta, senza tuttavia scadere mai in quell’anticlericalismo di principio che tanto ha nociuto a una visione autenticamente laica, ma non laicista, della società e dello stato.

La figura e l’opera del fondatore de «Il Mondo», viene analizzata da diversi punti di vista in un volumetto collettaneo dal titolo: Mario Pannunzio. Da Longanesi al Mondo, pubblicato da Rubettino editore e curato da Pier Francesco Quaglieni, direttore del Centro Pannunzio.

Liberale per vocazione, fondatore, insieme a Arrigo Benedetti, del Partito Radicale, il grande giornalista fu anche un uomo fortemente impegnato nelle battaglie politiche. Si era formato professionalmente al settimanale «Omnibus» il primo rotocalco italiano,  fondato e diretto nel 1937  da Leo Longanesi, gli era stata affidata la rubrica del cinema anche perché proprio al centro sperimentale di cinematografia, al quale Pannunzio si era iscritto grazie ai buoni uffici del  regista Mario Camerini, aveva conosciuto il futuro fondatore di «Omnibus».

Era affascinato dall’atteggiamento frondista di Longanesi rispetto al regime fascista, come osserva Marcello Staglieno nel saggio che compare nel libro e soprattutto dall’apertura del settimanale ai grandi autori angloamericani: da Caldwell a Steinbeck, a James Cain a Ben Hecht. Sul foglio longanesiano scrivevano le migliori penne del giornalismo e della letteratura del Novecento: Alberto Moravia, Dino Buzzati, Mario Praz, Vitaliano Brancati, solo per citarne alcuni. La rivista chiuse i battenti il 29 gennaio del 1939 per volontà di Mussolini, tuttavia il legame tra Longanesi e Pannunzio restò saldo. Almeno fino al 1946 quando Leo pubblicò il libro In piedi seduti attraversato da una forte vena nostalgica verso il fascismo, che allontanò i due. Si sarebbero riconciliati solo alla vigilia della morte di Longanesi, nel 1957, grazie alla mediazione del comune amico Indro Montanelli.

Nel 1944 Pannunzio fonda «Risorgimento liberale», inizialmente foglio clandestino che vedrà tra i collaboratori Luigi Einaudi e Benedetto Croce. Scopo del giornale pannunziano era quello di intessere rapporti «con laburisti, cattolici e repubblicani, ovvero le forze democratiche di sinistra con cui ritrovava somiglianza di idee, a cominciare dai socialisti» – sottolinea Mirella Serri. Una fase poco conosciuta dell’avventura intellettuale di Pannunzio, forse oscurata dal grande successo de «Il Mondo» da lui stesso fondato nel 1949.

Un momento particolarmente fecondo invece perché su «Risorgimento liberale» già si denunciavano gli omicidi politici del 1946-47 chiedendo e pretendendo legalità, le inchieste su Pola e Trieste mettevano in serio imbarazzo il Partito Comunista e più ancora fece infuriare il partito di Togliatti la denuncia, pubblicata a puntate, di Viktor Kravchenko dal titolo: Ho scelto la libertà,  l’autobiografia nella quale lo scrittore russo testimoniava dei campi di prigionia in Unione Sovietica e della ferocia del regime staliniano. «Risorgimento liberale» esaurirà il suo corso nel 1948, non senza aver lasciato una traccia indelebile di come un giornalismo indipendente di ispirazione liberal-democratica avrebbe voluto la ricostruzione dell’Italia uscita dalla tragedia della guerra civile.

«Saranno Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini sulle colonne de Il Mondo a tentare di mantenere in vita il ricordo delle lotte di cui era stato protagonista e vittima Risorgimento liberale» – osserva ancora Mirella Serri.

Il gruppo che aveva dato vita a «Il Mondo» si ispirava apertamente alla lezione di Benedetto Croce, ne facevano parte Ennio Flaiano, Antonio Cederna, Giovanni Spadolini, Mario Soldati e molti altri. Qualcuno profetizzò una breve vita per il settimanale di Pannunzio che invece uscì ininterrottamente per diciotto anni, fino al 1966 rappresentando un punto di riferimento e di incontro tra personaggi di diversa provenienza culturale e politica: Einaudi, Croce, Salvemini, animati però dalla passione per le idee, il confronto, dalla comune fede nella democrazia.

Punto di riferimento filosofico ma anche politico fu per Pannunzio Benedetto Croce «Il modello è fornito dalla dimensione metapolitica della libertà, che, pur comprendendo l’aspetto propriamente politico, non si esaurisce nei suoi ristretti confini» – conferma Guglielmo Gallino. Nel 1956 aveva promosso su «Il Mondo» il manifesto per la libertà dell’Ungheria invasa dai cari armati sovietici e nel 1967 si schierò dalla parte di Israele durante la guerra dei sei giorni, il che porterà alla rottura con un altro collaboratore del settimanale di Pannunzio: Eugenio Scalfari. L’anno successivo, dopo una breve malattia, muore a Roma lasciando un’eredità pesante che in molti oggi rivendicano ma che in pochi possono vantare mancando loro il coraggio e il rigore di Mario Pannunzio profeta disarmato.

Il libro: Pier Francesco Quaglieni (a cura di), Mario Pannunzio: da Longanesi al “Mondo”, Rubettino editore, Catanzaro, 2010, pp.154, € 14,00

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