Editoriale

Niente sarà più come prima, o si torna indietro o non ci sarà futuro

Siamo vissuti nella mistificazione costante, abbiamo inquinato le fonti, urge tornare a Itaca

Giovanni F.  Accolla

di Giovanni F.  Accolla

ulla sarà come prima” è il mantra che in questi giorni ascolto ovunque io vada: a pronunciarlo sono i politici, gli economisti, gli intellettuali, perfino gli sportivi. Lo ascolto al bar, al mercato. Me l'ha detto il portiere consegnandomi la posta (e le ennesime cartelle di Equitalia) questa mattina.


Che cosa stia cambiando non è abbastanza chiaro, verso dove si vada, è ancora più difficile da comprendere. Ma è certo che l’apparenza organizzata per decenni (o forse più) dal potere (qualunque esso sia e sia stato) per dare al nostro quotidiano una norma, un piccolo sistema di certezze (costruito sull'assenza e il rifiuto di punti fermi), si sta frantumando. 


Questa che stiamo vivendo è una finestra temporale - inquietante e straordinaria -  in cui tutto pare svelarsi nella sua essenza. E’ la fine del mito, e nel contempo del mito della fine dei miti. Nella storia, raramente la realtà si é resa tanto palese: siamo rotolando in un tempo neutro, precipitiamo, senza scopo, in modo asciutto e lineare. Siamo partecipando a una piccola e meschina apocalissi di corpi che hanno smarrito le loro anime.


Forse é finito il tempo della confusione, dell'indecisione, dell'indefinito collettivo in cui il maschile si completava, gioco forza per sua debolezza, nel femminile e viceversa, in cui una radio aveva la forgia di un telefono, un telecomando di una pistola... del "oh, che carino... lo compro, ma che cos'è, e a che serve?" 


É terminato, chissà, l'equivoco per il quale, in politica, la destra e la sinistra, una volta andate al potere, facevano una la politica dell'altra, lasciando sbigottiti e delusi gli elettori di entrambi gli schieramenti. 


Non amo affatto le analisi sociologiche declinate per lo più da profeti dell’accaduto, ma nella brevità di un articolo di giornale bisogna arrangiarsi con il lessico e le categorie che abbiamo a portata di mano, sperando nel buon cuore di chi ci legge.


Dunque vorrei dire che - mi pare ufficiale - siamo forse giunti (finalmente) al capolinea del cosiddetto post-moderno. A furia di teorizzare il cambiamento come se non ci fosse altro - per le sorti magnifiche e progressive dell’umanità - che la negazione del dato, pur non avendo la forza culturale di sostituirlo, si è  per anni strutturato un sincretismo di idee, di ambivalenze e di confusioni di forme. Infatti, esattamente come a furia di non credere a nulla, si finisce con il credere a tutto, sottraendo - come abbiamo fatto - valore a ogni idea, non abbiamo potuto legittimamente affermarne più nessuna.


Per decenni siamo stati indotti a credere che tutto fosse uguale a tutto (altro che nichilismo!) ed è andata a finire davvero così. Perché - come ci hanno insegnato gli storici francesi - il quotidiano diviene struttura: così ogni sciocchezza ripetuta all’infinito c'é sembrata intelligente, ogni sordo suono di tamburo, per le nostre orecchie, é stata melodia.


Sofisticandosi, il mercato ha per decenni conquistato gli spazi che erano terreno dell’etica: ora ci sono marchi più “corretti” di altri, cibi più “giusti” per alimentare la coscienza, e anche i politici (non la politica, ma i suoi interpreti) hanno giocato sull’equivoco, brandendo, come mai in altre epoche trascorse, la loro verità come più vera delle altre ipotesi, descrivendo la libertà come un succedaneo della veridicità di un prodotto.


Si è tanto spinto sull’acceleratore verso un mondo parallelo, che la società occidentale si è davvero disintegrata: le nuove generazioni sono più interessate ai social network che alla rivoluzione sociale. Più al chiacchiericcio apatico che allo scontro dialettico, più alla pornografia (nelle sue infinite forme e declinazioni) che al  sesso. In ogni settore della vita, i desideri dei ragazzi hanno soppiantato i sogni.


Ma è finita. Ragazzi, non c’è neanche più niente da desiderare. Non c’è ne è più per nessuno. Nulla sarà come prima. O si torna indietro - verso un sistema di valori e di riferimenti certi -  o non ci sarà un futuro degno di ciò che siamo stati. L’uomo per vivere ha bisogno di pane e di fiori - di lavoro e di bellezza - ci hanno fornito brioches e fiori di carta, e ora che il non c’è più la disponibilità delle brioches, siamo rimasti pingui e instupiditi, con, in mano, delle copie puzzolenti dei fiori e privi di un’idea, pur vaga, della bellezza. 


Per decenni, lo ripeto, invece di costruire l’essenziale che corrispondeva alle necessità, in Italia si è messo su un “circo” parallelo. Non c’era un vero stato sociale, non si è costruito e s’è rimediato - per fare un esempio - con la sistemazione  clientelare in qualche carrozzone di Stato: Rai, Alitalia o Palazzo Chigi che fosse. E oggi, si svela l’ovvio: tutti a spasso, non solo i famigerati fannulloni, tutti. La cosa divertente (o disperante) è che coloro che della “spending review” (revisione di spesa, sarebbe meglio) ora ne ha fatto oggetto di fede, sono i più tutelati, se non sono quelli che questo mondo parallelo per decenni lo hanno alimentato, per certi versi progettato. 


E’ finito il post moderno, dunque, l’epoca in cui la regola era una falsa assenza di regole, una messa in scena della democrazia partecipata e consapevole. E’ finita quella che i situazionisti negli anni Settanta, hanno a ragione chiamato la “società dello spettacolo”, ed è terminata non per consapevolezza o per voglia di tornare alla “società della vita”, ma perché - per rimanere in metafora - gli impresari hanno sbagliato i conti o sono scappati con la cassa. E ora eccoli a dirci che “bambole non c’è una lira”. Eh, già, ma il mutuo sulla casa che mi hai spronato a contrarre, la retta per l’Università dei figli che, mi hai fatto credere, avrebbero avuto un futuro migliore solo se laureati, chi me la paga?


Temo che l’attuale governo proponga solo tagli e rigore, perché - di fatto - non ci sia più spazio per lo sviluppo, non c’è più agio, né un pensiero “per-da” consumare. Paghiamo le barbarie di uno sviluppo senza progresso. Lo aveva predetto (anche se impastato d'ideologia, perché non è affatto vero che “la destra vuole lo sviluppo e la sinistra, il progresso”) Pier Paolo Pasolini quarant’anni fa. Non posso pensare, infatti, che un governo di tecnici, economisti e banchieri, non comprenda che con una pressione fiscale come quella che gli italiani sono costretti a sostenere non ci sia futuro alcuno, se non un declino inesorabile. Né sviluppo, quindi, né progresso. Pareggio, ovvero nulla. 


Ora la malattia dello sviluppo, ovvero la finanza, ha imposto la cura: nel tramonto di un’era - questo è il paradosso - il sole pretende di illuminare anche la notte. Personalmente per il mio cammino adesso mi accontenterei di un raggio di luna, e magari, del buon vecchio riferimento delle stelle. Vorrei, per evocare una lunga e gustosissima discussione apparsa su Totalità, tornare a Itaca. Avere il cuore e il coraggio di far fuori tutti i proci che indegnamente occupano il regno e tornare a fianco di Penelope. Vorrei, dunque, una politica che recuperasse e modulasse in chiave prospettica dei chiari e ancora inalienati riferimenti culturali, vorrei un parlamento degli eletti, vorrei trovar lavoro grazie al mio curriculum vitae, vorrei avere per quel che ho dato (e mi accontenterei anche di un po’ meno), vorrei essere in pace con i miei figli e insegnare loro che si può credere ben oltre la mera speranza.


Se nulla sarà come prima, allora, forse è anche finita la rappresentazione collettiva tanto dei pupi che dei pupari, forse è giunto il momento in cui l’uomo per decenni “felicemente costretto” nella pura finzione del suo ruolo, riscopra lo scopo della sua funzione personale e sociale. Da parte mia sono convinto che l’origine di tutti i mali e di ogni possibile riscatto, passi attraverso il recupero della propria individualità. Chi non è felice non sarà mai in grado di render felice nessun altro. Nessuno che non si sia riappropriato di sé stesso, dei propri desideri e delle proprie aspirazioni, potrà battersi perché altri possano farlo. 


Allora a chi mi dirà, ancora una volta che nulla sarà come prima, potrò rispondere: certo, sarà meglio, molto meglio di prima!










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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da L'essere il 10/07/2012 15:28:23

    Tutto sta cambiando sulla sarà come prima ma non tutti sono disposti al cambiamento c'è ancora chi troppo attaccato alla sua posizione di potere (potere ineducato e privo di coscienza) tenta di ostacolare la storia ed il suo evolversi. Come si fa?

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