Musei nella tempesta

Il MADRE di Napoli prossimo alla chiusura. Non è detto che sia una catastrofe

Forse la recessione ci obbligherà a dirottare i fondi per la cultura nella manutenzione del patrimonio artistico che richiama turisti

di Madame de Stael

Il MADRE di Napoli prossimo alla chiusura. Non è detto che sia una catastrofe

Una delle sale del Madre di Napoli. Se lo chiudono sopravviviamo, mentre se va in rovina Pompei è un vero dramma

Si susseguono le notizie di chiusure e/o gravi crisi economiche di musei più o meno noti. Il Maxxi a Roma se la passa male, il Madre a Napoli anche peggio, tanto che hanno murato 16 stanze del complesso museale ormai svuotate dalle opere che gli artisti si sono ripresi. Il direttore è ormai ex e nonostante le promesse non se ne vede uno nuovo all’orizzonte, il biglietto d’ingresso è stato dimezzato da 7 a 3,50 €, ma potrebbe anche essere gratuito visto che i visitatori giornalieri si contano sulle dita di una mano già da tanto tempo.

Bar ovviamente chiuso tranne il week-end.

Il motivo è il solito dicono, non ci sono soldi. Dannata recessione! Maledetto spread! Odiosa spending review!

Tutto vero, siamo in crisi, i soldi non ci sono e quelli che erano stati stanziati, 2 milioni per il 2012 nel caso del Madre, sono già finiti da tempo.

Già qualche tempo fa, a proposito della notizia della sospensione della periodica esposizione della Quadriennale di Roma per mancanza di fondi, scrivemmo che era uno dei tanti segnali dell’inciviltà di questo paese, se si risparmia sulla cultura significa che abbiamo superato il limite della tollerabilità.

Però... Però occorre fare qualche distinguo.

Siamo tutti d’accordo che il nostro è il paese degli sprechi, in ogni ambito, in ogni campo, in ogni settore. Un macchinario che ad una asl costa 10 avrebbe un valore di mercato di 5. Idem dicasi per una fornitura di siringhe o di cerotti. Lo sappiamo. Le cronache ci hanno ampiamente edotto in proposito. Naturalmente la cultura non fa eccezione.

Ma per quanto riguarda la cultura la faccenda è per qualche verso anche più grave.

Il nostro è il paese che detiene la maggior parte assoluta di beni culturali dell’intero pianeta. Un’eredità pesante, anche economicamente, perchè deve essere tutelata, restaurata al bisogno, protetta. Però è anche la nostra maggiore fonte di guadagno: il turismo culturale porta nelle casse del paese cifre cospicue che potrebbero essere incrementate se adeguatamente sapute sfruttare.

Invece cosa facciamo nell’Italia dello spreco allegro, delle consorterie intellettuali sostenitrici del consenso politico? Ci preoccupiamo di far nascere in ogni città piccola o grande un museo di arte contemporanea.

Che c’è di male? Direte voi. È importante non fermarsi al passato, saper progredire, dare spazio ai giovani, coltivare i talenti che dopodomani potrebbero essere i prosecutori del genio artistico nostrano. Verissimo, in teoria il ragionamento non fa una piega.

Quel che non torna è perché per coltivare giovani talenti si debba spendere come se ci trovassimo in presenza di Caravaggio. Invece di offrire loro degli studi dove lavorare, dove esercitare la loro creatività, gli creiamo dei musei per costruire i quali si incaricano archistar costosissime che a loro volta si sbizzarriscono senza vincoli di integrazione nel tessuto circostante dando vita a mostri che lì per lì sembrano geniali opere avveniristiche, e dopo qualche anno cominciano a cadere in pezzi perché richiederebbero una manutenzione tale che per la stessa cifra si eviterebbe il degrado di qualche edificio storico, se non della stessa Pompei.

Ma da quando in qua si fanno i musei per i giovani? Mai successo nella storia, tranne che nella nostra recente. E noi paghiamo, perché i fondi vengono dalle nostre tasse, non da privati che in casa propria fanno quello che vogliono.

Ma non è finita. Anche quando le collezioni di arte contemporanea non siano di giovani esordienti, ma di artisti già quotati nel mercato nazionale e internazionale, resta una domanda essenziale: perché sacrificare la manutenzione del patrimonio che abbiamo per offrire qualcosa che non è perspicuo della nostra cultura?

Pensate davvero che un giapponese, o un americano o un tedesco, o un francese o chiunque altro non possegga il bendidio che possediamo noi, si muova dal suo paese per vedere quello che già gli offrono i musei di casa?

Già perché la cappella Sistina, gli Uffizi, i musei Capitolini, o il tesoro di San Marco, la chiesa di S. Ambrogio, o le cappelle Medicee, l’architettura rinascimentale di Pienza, e quella barocca di Noto si trovano solo in Italia, nelle città italiane, in quelle stesse che fanno a gara a trascurare quel che hanno per aprire inutili, costosi, e spesso brutti musei di arte contemporanea.

E allora una volta tanto, viva la recessione se dirotterà il poco che c’è alla conservazione di quel che abbiamo.

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