Editoriale

In rotta per Itaca … in fuga da Fiuggi.

No ai politici professionisti di niente, ritorno ai concetti di comunità e identità, al primato della politica sull'economia

Domenico Del Nero

di Domenico Del Nero

na cosa va senz'altro detta: la rotta per Itaca che si tratti di zattere , barche a vela o … canotti si sta rivelando alquanto affollata. Bene dunque suscitare un dibattito, ma si veda anche di attivare la memoria, altrimenti si rischia di ritrovarsi poi con i soliti noti Proci(magari con ordine diverso di lettere) e non.

Se c’era una cosa che caratterizzava la militanza politica di Destra nel periodo ante Fiuggi, questa era sicuramente la consapevolezza di non avere nulla da guadagnare e molto da perdere.  Non che anche allora mancassero gli opportunisti, magari gli stessi che poi si sono satollati con laute carriere, parlamentari e non; ma nel complesso, non si può certo dire che fosse una scelta facile.

Ora, davanti a tanti nuovi e vecchi “salvatori della patria”, chi scrive rivendica l’orgoglio di essere sceso dal carro del vincitore, all’indomani di Fiuggi, non per una sorta di masochistico gusto del perdente (tutt’altro) ma perché  aveva compreso che quel  carro di Tespi che era la vecchia Destra,  per molti aspetti sgangherato e squinternato, si era trasformato in un comodo carrozzone nel quale squali affamati si stavano precipitando con la rapidità del fulmine, incoraggiati da una “classe dirigente” in buona parte ansiosa di trasformarsi in apparato digerente.  Tanta, troppa gente che sino a poco tempo prima si era vista solo di straforo e magari salutava il “fascista” solo se proprio non poteva farne a meno  scopriva adesso il piacere e il dovere della militanza politica in una data direzione.

Perché, se di destra si vuol parlare, prima di avventurarsi sulle cime dei massimi sistemi bisogna ripartire da quella gigantesca occasione mancata (ma diciamo pure da quell’ignobile tradimento) che è stata la c.d. svolta di Fiuggi del gennaio 1995.  Ma tradimento non perché ci si decise ad archiviare un “nostalgismo” che peraltro  non aveva più ragion d’essere, ma perché non si ebbe il coraggio, l’intelligenza, la capacità di contrapporgli nulla che non fosse …. la religione del potere, emarginando accuratamente o mettendo in condizione di non nuocere chi a quella svolta avrebbe chiesto ben altro che di finire in un sordido vicolo cieco. 

Accusare Berlusconi  almeno per queste cose è non solo ingiusto ma anche troppo comodo;basta vedere del resto come sono finiti oggi, la maggioranza di coloro che operarono quella svolta.  La Destra non ha saputo o voluto fare una riflessione seria, mantenere senza più bisogno di fasci o gagliardetti quel patrimonio di tradizione e modernità, di accesa discussione tra centralismo e decentramento, tra comunità e società che il vecchio MSI almeno in parte, magari anche solo marginalmente, aveva comunque conservato e alimentato.

Chi ha vissuto le giornate di militanza nel Fronte della Gioventù o nel Fuan non pensava alle carriere (che spesso anzi si è rovinato) o alle prebende: pensava , certo con una buona dose di ingenuità, ma anche con quella capacità di sognare che è tipica della giovinezza, di cambiare il mondo, di  costruire una società che non fosse sotto il dominio della mercificazione delle persone e delle cose;  una politica che non fosse mera gestione dell’esistente, magari in condominio con l’avversario di ieri che poteva diventare l’eccellente commensale di domani, ma che fosse veramente la costruzione di un futuro civile, lontano eoni dalle pastoie dell’asfittico cattocomunismo di bottega di chi confondeva il rosso della sezione con quello della Passione, o dalla politica affaristica della c.d. prima repubblica.

Itaca non è e non deve essere certo Predappio; con tutto il rispetto, diciamolo una volta per tutte, per un passato che comunque spetta alla Storia giudicare e che con i suoi errori e purtroppo anche orrori  non si può però certo liquidare, come scrisse tra l’altro un certo sig. De Felice, come un fenomeno -flagello o scempiaggini proprie di chi senza un briciolo di vergogna è passato dal definire Mussolini uno dei più grandi statisti del XX secolo al fascismo come male assoluto; senza magari degnarsi di spiegare i passaggi intermedi e per quale motivo ha ritenuto comunque opportuno costruire la sua fortuna politica sul retaggio di quel passato, prima di rinnegarlo senza la minima esitazione.

 Quello che va riscoperto è uno spirito diverso del fare politica, che sia per l’appunto il bonum commune e non il particulare (che poco o nulla ha a che fare con quello del grande Guicciardini);  un amore per la cultura e per le radici europee che dia un senso di appartenenza, senza discriminazione alcuna ma anche senza nessuna vergogna dei propri maggiori e della propria storia; una attenzione e un rispetto per i giovani che non sia il giovanilismo stupido e da cartolina, buono solo a coniare nuovi furbetti del quartiere, ma volontà e capacità di valorizzarli senza remore, esitazione o peggio secondi fini quando veramente valgono e possono essere un patrimonio immenso e una formidabile onda d’urto.

 Nel mondo ormai scomparso del vecchio MSI spesso i giovani erano considerati solo merce da attacchinaggio, ma  nonostante questo il meglio di loro seppe, insieme agli esponenti più aperti delle precedenti generazioni, dare vita a dibattiti e circolazione di idee che oggi sono quasi del tutto spariti non solo dal centro, ma anche dalla più sperduta periferia politica.

1) No al professionismo della politica, ai falliti senza né arte né parte che campano lautamente alle spalle di chi lavora e di chi vorrebbe lavorare, nella selva delle cariche elettive o nel sottobosco degli incarichi, per cui anche l’ultimo imbecille nominato non si sa perché  da un ministro distratto può avere la sfrontatezza di confrontarsi con chi ha vinto una cattedra in un duro concorso (magari senza raccomandazioni);   

2) ritorno al concetti di comunità e identità, coraggio di essere se stessi senza preoccuparsi della peste del politically correct e del compromesso strisciante e dilagante, avendo il coraggio chiaro e netto di sbattere la porta in faccia agli opportunisti di ieri e di oggi;

3) tornare al primato della politica sull’economia che deve essere un mezzo, per quanto importantissimo, e non un fine.

4) E soprattutto cambiare il modo di intendere la politica stessa, senza il quale la destra non sarà altro che fango ancor più putrido, perché corruptio optimi pessima, della melma in cui siamo immersi. 

Ai giovani di ieri e di oggi, a coloro che non entrarono in politica in cerca di prebende o perché insoddisfatti di ciò che avevano; a coloro che volevano servire delle idee e non servirsene, piccoli ras per piccoli fans, per mascherare la loro pochezza o nullità, ricordo in chiusura le ultime parole di quello che è stato e sarà sino all’ultimi respiro il nostro inno e il nostro Ideale:

La terra dei Padri, la Fede immortal
nessuno potrà cancellar
il sangue, il lavoro, la civiltà
cantiamo la Tradizion.

La terra dei Padri, la Fede immortal
nessuno potrà cancellar
il popolo vinca dell'oro il signor
il domani appartiene
il domani appartiene
il domani appartiene a noi.

Speriamo di poterlo lasciare in eredità ai nostri figli … e possibilmente insieme a qualcosa d’altro.

(Ai più generosi tra i miei studenti, di ieri e di oggi, perché possano fare meglio della nostra e delle ultime generazioni.)


Leggi anche 

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    2 commenti per questo articolo

  • Inserito da Seym Levin il 20/06/2012 11:37:11

    'Chi ha vissuto le giornate di militanza nel Fronte della Gioventù o nel Fuan non pensava alle carriere (che spesso anzi si è rovinato) o alle prebende: pensava , certo con una buona dose di ingenuità, ma anche con quella capacità di sognare che è tipica della giovinezza, di cambiare il mondo, di costruire una società che non fosse sotto il dominio della mercificazione delle persone e delle cose; una politica che non fosse mera gestione dell’esistente, magari in condominio con l’avversario di ieri che poteva diventare l’eccellente commensale di domani, ma che fosse veramente la costruzione di un futuro civile, lontano eoni dalle pastoie dell’asfittico cattocomunismo di bottega di chi confondeva il rosso della sezione con quello della Passione, o dalla politica affaristica della c.d. prima repubblica.' Il punto è proprio questo: la c.d. destra è diventata una colonna della partitocrazia, l'ennesima truffa nei confronti di quanti, fuan o no, msi o no aveavano sperato nella rivoluzione culturale nel segno della libertà e del non conformismo: Il fallimento del pdl è sotto gli occhi di tutti: la maggioranza silenziosa è stata sconfitta e si è trasformata in maggioranza opportunista, traffichina, intrallazzatrice, vile e carrierista.

  • Inserito da Helmut Leftbuster il 13/06/2012 13:09:54

    Uno scritto implacabile, vero, lucido, nobile, sanguigno e senza sconti. Imparino le "grandi firme" , puttane strapagate per leccare il deretano del mondialismo, cos'è il coraggio espressivo e l'amore per ciò che si è. Complimenti, Domenico; lo inserisco nel nostro gruppo, e, se acconsentirai, allego il link fra la rassegna stampa del nostro blog.

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