Editoriale

Piccolo dizionario della politica

Il lessico è sostanza e non è un caso che tutto ci arrivi dalla Grecia... forse occorre una riflessione che superi la stupida finanza

Giuseppe del Ninno

di Giuseppe del Ninno

i parla molto di Grecia, in questi giorni, e non solo in termini di politica ed economia, ma anche di cultura, per ricordarci quanto la nostra civiltà sia in debito nei confronti di quella ellenica.

Qui, per ristabilire un contatto tra l’attualità e quelle nostre lontane radici, vogliamo soffermarci su due vocaboli caduti in disuso, che pure ci consentono di spiegare tante difficoltà del nostro presente. Ci riferiamo ad aporia e utopia, che cominceremo col mettere in relazione con la democrazia (altro termine di derivazione greca!).

Che cosa sia la democrazia non abbiamo bisogno di spiegarlo: qui mi limiterò a constatare come, al di là di ogni formulazione teorica, per ognuno che sia nato dopo il 1945 - e non solo nella sfera euramericana – ci troviamo di fronte a un dato acquisito e non più discutibile, ad una vera e propria “biosfera culturale”.

Democrazia, infatti, non è soltanto una delle forme di reggimento politico, ma è diventato un modulo organizzativo diffuso – almeno nelle enunciazioni…- e una rigida griglia interpretativa del reale e della stessa storia, tanto da fondare giudizi morali perfino su personaggi ed eventi dell’antichità, quando la democrazia era soltanto un sistema marginale e problematico.

Dunque, aporia e utopia. Se pensiamo che quella democratica è una forma di reggimento basata sul consenso che la maggioranza dei cittadini manifesta a un partito, a un programma di governo o, semplicemente, su di una specifica questione (si pensi ai referendum), appare evidente che, in virtù di quel consenso, per sua natura a-dogmatico e mutevole, la democrazia è quanto di più lontano ci possa essere dall’utopia, un sistema di valori inesistente nella realtà, ma a cui tendere su iniziativa di pochi, indipendentemente, dunque, da ogni “contratto sociale”, da ogni consenso dei più.

La democrazia non si concilia con l’immutabile, con l’indiscutibile, con le certezze metastoriche. In questo senso, da un lato è il sistema più in armonia con lo spirito laico che caratterizza i nostri tempi secolarizzati; dall’altro, appare connaturato con l’incertezza perenne, con la storicità vorticosa, con la mutevolezza del volere e, dunque, delle maggioranze. Incertezza: se pensiamo all’etimo di “aporia”, potremo arrivare ad alcune delle difficoltà di questi nostri giorni di crisi. A-poria vuol dire appunto assenza di passaggi, di varchi, di soluzioni e, alla fine, di certezze.

Una delle aporie con le quali deve confrontarsi la democrazia la ritroviamo nelle nostre cronache: procedere a riforme, ad opera di soggetti che da queste riforme saranno danneggiati. Andando al pratico: ridimensionamento sostanziale non tanto degli emolumenti, quanto dell’impatto e della presa della classe politica sulla società, in tutte le sue articolazioni economiche, culturali, amministrative. Ci riferiamo, così alla rinfusa: al divieto di cumulo delle cariche; alla liberazione della televisione pubblica dalle ipoteche dei partiti; alla eliminazione degli “Enti inutili”; alla profonda revisione (alla abolizione?) del finanziamento pubblico dei partiti; alla riduzione delle spese relative alle Istituzioni (cominciando dal Quirinale) ed al corrispondente sfoltimento del personale, e così via.

Chi dovrebbe provvedere a tutto questo? La stessa classe di legislatori, in larga misura destinataria di simili rivolgimenti. E’ credibile?

Altra aporia: conciliare il consenso elettorale con i provvedimenti che, specie in talune fasi della storia di un Paese, non possono che essere impopolari. Con il governo Monti-Napolitano, l’Italia ha mostrato al mondo come se ne esce: non già con il carisma di un uomo forte – come poté essere, ad esempio, il caso di Atatürk per la Turchia, dopo la fine dell’impero ottomano – o addirittura con un colpo di mano smaccatamente antidemocratico, bensì con un’ardita interpretazione della Costituzione e – ovviamente – con l’avallo (la sollecitazione?) di “poteri forti” internazionali, senza dimenticare l’amplificazione mediatica pressoché totalitaria del prestigio prima, dei meriti poi di quel governo. Quanto al consenso, per ora dobbiamo accontentarci dei sondaggi. D’altra parte, vogliamo ricordare che la stessa costruzione europea prevede centri di potere sottratti alle regole della democrazia – cioè al potere del Popolo sovrano – e affidati a schiere di burocrati e banchieri “irresponsabili”?

Certo, democrazia significa pluralità di offerte politiche e, dunque, di partiti, al punto che in momenti come questi, di scarsa credibilità dei partiti e dei loro esponenti, si può paventare una crisi anche della democrazia. Crisi che, come ci ricordava Eva Cantarella, deriva dal verbo greco “krino”, giudico. Un giudizio, quello sull’operato e, dunque, sul futuro dei partiti usciti dalla “seconda Repubblica”, decisamente impietoso; ma alla stessa radice va ricondotto un altro dei requisiti della democrazia: ipo-crisia, attitudine che induce a fingere un giudizio – ad esempio: questo è un comportamento democratico… - da esternare, magari con sottili e sofistiche argomentazioni, ben diverso da quello “riservato”.

Dialettica (altro vocabolo di derivazione ellenica!): quella che va rivestendo la democrazia dei più nobili e variegati aggettivi – popolare, liberale o liberista, sociale o socialista, diretta, rappresentativa, virtuale, e chi più ne ha più ne metta – per dissimularne l’eclisse graduale. E’ proprio questo il timore di molti, a partire dalla disaffezione verso le competizioni elettorali: ma questo fenomeno deprecabile non scaturisce forse da ancor più deprecabili decisioni del ceto politico, quando fu vanificato il risultato di più di un referendum, o quando lo stesso ceto politico si nasconde dietro le preoccupazioni – obsolete - dei Padri Costituenti, i quali vollero svincolare i parlamentari da ogni obbligo di mandato e, quindi, di rendiconto, verso gli elettori, tanto per rafforzare la vocazione nazionale al trasformismo?

Intanto, la recita continua: per giorni continueremo a discutere sul chi ha vinto e chi ha perso ai ballottaggi di qualche Comune, senza vedere le crepe della Cittadella democratica, in Italia in Europa.

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da carmine il 22/05/2012 15:27:39

    La Grecia chiede rispetto a tutta l'europa,e particolarmente al nostro Paese che gli è da sempre Amica.Anno sofferto per un trentennio sotto i vari Regimi Militari non eletti e mai desiderati,imposti dai paesi che oggi pensano di metterla fuori dal contesto e possono anche disfarsene dopo averla derubata e mortificata.Ora non potendola ne volendola aiutare pensano di distruggerla dalla cartina Europea,la loro posizione è critica ma,gli Italiani e non Monti il Vampiro chiedono al resto dell'Europa di aiutarla e di sostenerla.

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