Anestesia Totale

Travaglio sul palco nel nome di Montanelli

Orazioni, perorazioni e denigrazioni per abbattere il reame

di Steve Remington

Travaglio sul palco nel nome di Montanelli

Marco Travaglio e la valletta Isabella Ferrari

Non capita spesso di assistere a due spettacoli in uno. Andando a vedere Anestesia totale, di e con Marco Travaglio, se ne vedono addirittura tre. Tre piani narrativi l’uno sovrapposto all’altro, ma che non si trovano mai, né all’ingresso, né al pianerottolo. Servirebbe una bella riunione condominiale per rendere omogeneo questo sforzo travagliesco, sfociato in un parto a metà. Perché da una parte c’è la violenta – nel senso che sconcerta per la sua forza - attualità della lezione di Indro Montanelli, l’incarnazione dell’italica borghesia che guarda al centro, senza disdegnare destra e sinistra. Dall’altra, invece, troviamo Travaglio, quello noto di Annozero, e quello meno noto, legati  dal filo rosso dell’antiberlusconismo elevato all’ennesima potenza. Berlusconi avrà commesso anche molti errori, ma non è il male assoluto. Soprattutto non può esserlo in una Italia cattolica a parole, ma peccatrice nei fatti.

E poi, nel  mezzo, c’è Isabella Ferrari, bella quanto inutile. Il suo apporto spettacolo, legge gli articoli di Montanelli e le parti del breviario travagliesco per essere un pio e devoto giornalista, e non un servo del padrone, è del tutto gratuito rispetto alla centralità dello spettacolo. Un inutile abbellimento su un vestito lineare ed essenziale.

Travaglio, infatti con questo spettacolo mira a svegliare il suo pubblico, numeroso e affezionato come sempre, facendo sfoggio di grande coerenza con le sue idee, dando fondo a tutta l’ironia tagliente di cui è capace. A tratti, addirittura, lo spettacolo diventa più esilarante dei comici che invadono il piccolo schermo, convinti di essere degli artisti, quando, a malapena, riescono a risultare passabili burloni.

E poi c’è Indro. Quella di Montanelli resta una lezione senza tempo, ancor oggi capace di illuminare e ad ammonire, soprattutto chi vuol capire, essendo questo un Paese facile ad innamorarsi del primo venuto, per poi buttarlo alle ortiche quando l’amore è finito.

Travaglio, dunque, prova a mettere nel suo bagaglio il teatro civile, fatto di orazioni, perorazioni e denigrazioni, nel tentativo di redimere chi si è fatto stregare da Berlusconi. Il tutto senza fare il benchè minimo sconto alla sinistra, colpevole, secondo Travaglio, di voler abbattere Berlusconi per poi costruire il proprio futuro sul berlusconismo. Insomma, per Travaglio più che il Re, occorre destrutturate il reame. Come se in Italia fosse una cosa semplice. E Montanelli, tutto ciò lo aveva già scritto e detto. Forse il vero spettacolo sono davvero i suoi articoli. Non il corollario.

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